mercoledì 20 maggio 2009

Valerio Evangelisti: "La sinistra è viva ma serve un'offensiva politica"


Intervista di Cosimo Rossi allo scrittore Valerio Evangelisti
(Liberazione, 20/05/2009)

“Non capisco e non avrei mai potuto seguire quanti, in nome dell’unità a tutti i costi, hanno rischiato di dilapidare l’unità tra i comunisti”. Quando invece secondo Valerio Evangelisti occorre che la sinistra riscopra “l’orgoglio di non rinunciare ai propri principi”, ritrovi “il coraggio” del conflitto sociale e “la combattività” nelle sue pratiche, ristabilisca la sintonia con quei movimenti che “non sono disposti a conciliazioni per un posto in parlamento”, richiami il proprio popolo “a un’offensiva politica”.
Scrittore di fantascienza, fantasy e horror tra i più noti in Italia, esponente di punta del filone new weird, Evangelisti non indugia davvero in giri di parole quando si tratta della condizione politica della sinistra e del paese per spiegare, tra l’altro, le ragioni del suo impegno in prima persona come candidato della lista comunista nella circoscrizione nordest.

D. E’ la prima esperienza da candidato a un’elezione?
R. La prima. E non avrei neanche mai pensato di farlo.

D. Cos’è che invece ti ha indotto a farlo?
R. Sono allarmato da quanto succede nel paese e in Europa, da quanto si faccia sentire l’assenza dei comunisti e dell’anticapitalismo. Si direbbe che, dopo la sconfitta alle politiche del 2008, i comunisti siano stati espulsi dalla società italiana e che dunque non restino alternative all’esistente. Questo per me è pericolosissimo. Mi sembra quindi necessario riportare alla sua vecchia combattività una sinistra che ha fatto molti errori ma non per questo può morire.

D. Quali errori, in particolare, sono stati più dannosi?
R. L’errore fondamentale è stato piegarsi a tutte le prepotenze del governo Prodi. Le misure che ha adottato sono state risibili rispetto al programma originale per cui è stato votato. E la sinistra ha sopportato troppo a lungo provvedimenti che andavano in direzione contraria rispetto ai suoi valori e i suoi obiettivi. L’abbiamo pagato caro. Ora vediamo di non ricaderci; senza per questo scivolare verso posizioni minoritarie e estremistiche che non hanno respiro nella società odierna.

D. Oggi come oggi, però, tra divisioni e errori il rischio è che la sinistra non arrivi neanche alla meta del 4 per cento…
R. Non avrei mai accettato di candidarmi se non ci si fosse distinti da persone che, pur apprezzabili da tantissimi punti di vista, puntano sulla politica come unica arma e sull’unità del tutto artefatta con forze che io non ritengo di sinistra: perché personalmente non ritengo che il Pd oggi possa dirsi di sinistra. Preferisco una sinistra che abbia l’orgoglio di agire da sola, persino soffrendo qualche isolamento nel tessuto istituzionale, ma senza rinunciare ai propri principi.

D. Eppure le divisioni, insieme ai cataloghi degli errori, rimangono il motivo principale della disaffezione e lo sconforto del popolo di sinistra…
R. Io non avverto tutto questo scoramento, né il cedimento. Perché in questo paese la sinistra rimane forte anche quando non vota. Se guardiamo alla realtà del paese, insieme a tanta regressione vediamo anche tante lotte sociali che segnano le piazze e i movimenti: l’Onda è stata qualcosa di rilevante, altri movimenti sono in campo. E se non hanno diretta espressione politica potrebbero sempre riconoscersi in una rappresentanza istituzionale. D’altronde, io non ritengo le elezioni un momento decisivo: le ritengo utili, ma non decisive.

D. In che senso le elezioni non sono decisive?
R. Voglio dire che mi interessa relativamente poco avere presidente della camera che appartenga a sinistra quando questo non modifica nulla nella società. Mi interessa invece che ci siano parlamentari in Europa e in Italia che si facciano portatori di istanze altrimenti senza voce. Con coraggio. Anche quello di rompere quando è necessario. La democrazia puramente parlamentare, non supportata da un’azione sociale che porti la democrazia nella società, è una democrazia monca. Spesso negli ultimi anni si è oscillati tra chi voleva una politica senza piazza e chi voleva una piazza senza politica. Penso che la sinistra viva nella convergenza delle due cose.

D. Intanto però la sinistra è minacciata anche da Di Pietro, per l’appunto il più combattivo nel contrapporsi a Berlusconi…
R. Secondo me Di Pietro è un fenomeno significativo. Funziona perché urla. Sembra di sinistra per i toni esortativi. In realtà è di destra, il suo partito è di destra e i girotondini non sono di destra ma si aggrappano a fattori del tutto secondari rispetto a quelli sociali e storici che andrebbero considerati. Perché a me importa poco dei comportamenti sessuali e conviviali di Berlusconi; m’interessano l’ideologia neoliberista, l’autoritarismo, l’imperialismo, il razzismo: è qui che vedo in Berlusconi il mio avversario politico e di classe.

D. Insomma: l’efficacia della retorica anti berlusconiana di Di Pietro dimostra che c’è spazio anche per un’efficacia del conflitto sociale?
R. Rispondo con un esempio. A Bologna ci sono sei o sette centri sociali frequentati da moltissimi giovani. Per motivare questi ragazzi non servono linguaggi smorti o esortazioni al pacifismo a oltranza: penso che non ne possano più, che non siano disposti a conciliazioni solo per una poltrona in parlamento. Perciò credo che chiamando a un’offensiva politica si troverebbe rispondenza in strati giovanili, operai, proletari. Ma va fatto in modo energico e credibile.

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