domenica 9 novembre 2008

Simbolo e liste proprie per le regionali ma alleanza certa con il centrosinistra: Nichi Vendola al congresso, ma Rifondazione in Movimento va via


di Marco Murgia
domenica 9 Novembre 2008
L'AltraVoce.net

Nichi Vendola, a livello nazionale, l'avrà pure definita un gossip: l'ipotesi di scissione dalla maggioranza politica del partito guidata da Paolo Ferrero non è all'ordine del giorno nell'agenda della Rifondazione comunista. Michele Piras, segretario in Sardegna, alla guida di una maggioranza del 62 per cento legata al governatore della Puglia, caso speculare e unico in Italia, la boccia del tutto. Però quando Vendola arriva nella sala dove si sta tenendo il quarto congresso regionale del partito qualcosa succede: cioè che un terzo dei delegati abbandoni i lavori, contestando la presenza dello sconfitto al congresso nazionale di Chianciano - come in occasione dei due convegni preparatori, quando erano stati invitati Gennaro Migliore e Fausto Bertinotti - e nessun esponente della attuale segreteria.

A spiegare i motivi, dal microfono del palco, è Gianni Fresu, della corrente “Essere comunisti”: «Una parte di delegati di questo congresso non seguirà il dibattito», tra il presidente pugliese e Renato Soru, «per protestare contro la scelta unilaterale e illegittima di appaltare una parte dei lavori a una corrente organizzata» che «sembra non voglia accettare il fatto che il gruppo dirigente nazionale della nostra organizzazione è cambiato». Tutti via, i ferreriani, mentre intonano “Bandiera rossa”: un po' troppo per un partito che aveva spesso, e giustamente, criticato il Pd per la propria situazione interna.

Eppure quella «corrente organizzata» - sarebbe la segreteria - aveva già chiarito che «non saremo promotori di nessuna scissione». Per essere chiari, aveva specificato Piras, «né sul piano organizzativo né, tuttavia, con la nostra storia politica». Quindi: alle prossime elezioni regionali «andremo con il nostro simbolo, le nostre liste e la nostra identità aperta». Certo, resta la sintonia con il centrosinistra, nella posizione di «alleanza competitiva» che ha caratterizzato questi ultimi quattro anni e mezzo di governo regionale.

Le primarie? Non sono un passaggio fondamentale se non «sui contenuti, sui programmi, sui valori di fondo, sull'identità programmatica del centrosinistra sardo Volete farle? Facciamole su questo, non su altro». Messaggio per nulla velato ai colleghi del centrosinistra: da Pietro Maurandi, presente in sala come coordinatore della Sinistra democratica, sino a Federico Palomba dell'Italia dei Valori. Fuori, in sostanza, dal dibattito interno alla coalizione su Soru sì o Soru no: nella relazione introduttiva, il segretario regionale traccia il bilancio del partito «in un momento difficilissimo per noi e per la sinistra», ma anche la strada da qui alla prossima primavera. E oltre, con un pizzico di romanticismo, perché «non ci arrendiamo a un mondo senza sogni».

Per lavorare a quel mondo, ci sono in mezzo alcuni passaggi fondamentali. Per il partito in Sardegna, è ritrovare l'unità interna e il contatto con il territorio: quello degli operai, ma è solo uno degli esempi, che alle elezioni politiche di aprile hanno scelto l'astensione anziché votare Rifondazione. Per la coalizione, invece, c'è «l'appello a disegnare insieme il futuro dell'isola, attraverso la riconferma dell'alleanza che riteniamo un fatto non solo condivisibile ma persino strategico», nell'ottica dell'isola come «avamposto contro le destre e contro la crisi economica e politica». Lo aveva sottolineato anche Soru, nell'ultimo appuntamento organizzato proprio da Rifondazione sull'autonomia, in preparazione di questo congresso.

Dal presidente della Regione, che sarà protagonista insieme a Vendola del dibattito pomeridiano su “Autonomia e Rinascita”, «ci dividono molte cose, compresa l'idea di società, e tuttavia su molte altre c'è una forte sintonia». Il primo passo da fare, quindi, è un bilancio della legislatura che «assuma positivamente i suoi aspetti innovatori, grandi conquiste che ne hanno segnato indelebilmente il corso»: dalla vertenza sulle entrate alla svolta sul terreno delle politiche per il lavoro e di contrasto alle povertà, dal piano triennale di stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili alla questione delle servitù militari. Passando per la riforma dei consorzi industriali «che forse più di altri provvedimenti è andata a incidere sui costi della politica e sulla rimozione di quel sottobosco di incarichi e prebende» che richiede ancora una «riforma organica» e senza dimenticare il passaggio fondamentale del Piano paesaggistico del territorio: perché per Rifondazione, ricorda Piras, rinascita e sviluppo passano anche e indiscutibilmente dalla tutela ambientale.

Tutto senza eludere «l'analisi di una progressiva disconnessione sentimentale dal proprio popolo di riferimento». Vale per gli elettori del centrosinistra in generale, ancora di più per quelli di Rifondazione. Perché per la prima volta il partito ha affrontato e affronta congressi stando fuori dal Parlamento, con percentuali durante le politiche di aprile mai raggiunte, verso il basso. Allora, anche in Sardegna, il punto è riconquistare il territorio. E da lì ripartire: «Non accetteremo alcuna imposizione centralista, nessuna forzatura che riproduca quell'odiosissimo rapporto fra centro e periferia». Anche questo già chiarito, con Fausto Bertinotti, in quel convegno di qualche settimana fa.

Restano le difficoltà interne. Con la minoranza del partito sardo, legata al neo segretario Ferrero che ha la maggioranza sul nazionale, che non ci sta e parla con il suo esponente principale - il consigliere regionale Paolo Pisu - di scarsa democrazia interna. Sono la minoranza, nell'isola fanno meno del 40 per cento: in più separati al loro interno, divisi tra le mozioni che unite avevano permesso la vittoria dell'ex ministro. Però si alzano per andarsene, quando arriva Vendola, e cantano. Perdono una bella occasione per ascoltare un bel dibattito sul presente e il futuro dell'isola. Torneranno in serata e ancora oggi per il voto finale su segretario e organismi dirigenti: non hanno i numeri, dicono gli altri. Niente scissione, a parole: ma nei fatti?

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