venerdì 24 ottobre 2008

i Cpt sono centri di accoglienza, o sono prigioni?


di Giulia Cerasi

www.voceditalia.it, 23 ottobre 2008


La difficile accoglienza di un clandestino che arriva in Italia tra fermi, schede telefoniche ed espulsioni. Ecco le criticità del nostro modello immigratorio.

Vent’anni, incinta, dolori lancinanti all’addome. La ragazza, di origini ghanesi, non riesce a rientrare in tempo nel Centro d’accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo dove è ospite e, per lo stress, abortisce. Questa triste vicenda risale a qualche giorno fa ed è l’ultima in ordine di tempo delle tante storie dal sapore amaro che provengono dai centri di permanenza ed accoglienza temporanei per immigrati presenti sul nostro territorio nazionale. I centri di permanenza temporanea (Cpt), ora denominati centri di identificazione ed espulsione (CIE), sono strutture istituite dall’articolo 12 della legge Turco-Napolitano (n° 40/1998), per tutti gli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione e o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile" ed hanno la funzione di consentire accertamenti sull’identità di persone trattenute in vista di una possibile espulsione, ovvero di trattenere persone in attesa di un’espulsione certa a seguito di un illecito amministrativo (mancanza dei documenti di viaggio e/o del vettore).


I Cpt sono affollati da centinaia di clandestini, molti dei quali hanno viaggiato giorni e giorni in condizioni estreme per raggiungere le coste italiane, o semplicemente da immigrati irregolari fermati dalla polizia per le strade delle città. All’interno dei centri gli stranieri si trovano con lo status di trattenuti (o ospiti) e non di detenuti, poiché questa misura non può assimilarsi ad una sanzione detentiva ed è adottata al di fuori del circuito penitenziario. Pur non avendo commesso alcun reato gli "ospiti" si ritrovano scaraventati in una cella, insieme ad altri estranei, senza avere la possibilità di avvertire la famiglia o l’avvocato, senza acqua ne cibo, senza capire cosa sta accadendo. Le impronte della mano scannerizzate per la schedatura, la visita medica, una maglietta pulita e quando va bene anche una scheda telefonica. Pochi si rendono conto di dove sono e cosa fanno lì: è un privilegio di chi parla inglese - quando l’istruzione degli agenti che lavorano nei campi lo consente - poiché nella maggior parte dei casi non esistono traduttori o mediatori culturali.


Da più parti (amministrazioni locali, Ong, associazioni di avvocati) si sono levate voci contro la cattiva gestione, se non addirittura l’esistenza stessa, dei Cie. Nel suo rapporto del 2004, Medici Senza Frontiere ha monitorato i circa venti campi italiani denunciandone numerosi aspetti critici, come alloggi inadeguati (container o strutture fatiscenti), sovraffollamento, condizioni igieniche carenti, cibo scadente, mancanza di forniture di vestiti e biancheria pulita. Molto spesso, inoltre, nei centri non è previsto un ambiente riservato agli ex-carcerati, l’assistenza medica è insufficiente (a volte manca addirittura il servizio di sostegno psicologico) e quella legale quasi inesistente. Nel rapporto "Presenza temporanea diritti permanenti" Amnesty International ha anche denunciato la costante violazione dei diritti umani, segnalando la presenza di abusi di matrice razzista, aggressioni fisiche e uso eccessivo della forza da parte degli agenti di pubblica sicurezza e da parte del personale di sorveglianza, in particolare durante proteste e in seguito a tentativi di evasione. Con la modificazione della Turco-Napolitano ad opera della legge Bossi-Fini (n. 189/2002) i clandestini sono costretti a rimanere nei centri permanenza temporanei per 60 giorni (trenta giorni prorogabili per altri trenta), anche se a seguito del varo del cosiddetto "pacchetto sicurezza" nel marzo scorso, il periodo di detenzione è stato elevato a 18 mesi.


Una volta entrato nel Cpta, il trattenimento dello straniero deve essere convalidato da un giudice: viene emesso un decreto di espulsione dal territorio italiano che verrà eseguito o accompagnando immediatamente lo straniero alla frontiera (in caso di pericolosità del clandestino per motivi di pubblica sicurezza) o rilasciando un foglio di via che intima di lasciare il paese entro 15 giorni. Questa azione di contrasto delle immigrazioni clandestine, come sottolineato anche dalla "Commissione De Mistura" del Ministero degli Interni che ha svolto un’analisi sui CPT, "non risponde alle complesse problematiche del fenomeno e non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare". Il sistema di detenzione amministrativa, infatti, non raggiunge l’obiettivo di combattere in maniera adeguata i flussi di migranti clandestini e, soprattutto, non sempre rispetta i diritti e la dignità umana.

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