martedì 30 dicembre 2008

CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO


Associazione Amicizia Sardegna Palestina

Cagliari, Martedì 30 Dicembre
ore 18:00 Piazza Costituzione

Sit-in a sostegno del popolo palestinese
contro il massacro di Gaza e il terrorismo di stato israeliano

Per adesioni lasciare un post sul sito: www.sardegnapalestina.org


CONTRO LA PULIZIA ETNICA E IL TERRORISMO DI STATO ISRAELIANO
FERMIAMO IL MASSACRO DI GAZA!


E' partito sabato mattina l'attacco dell'esercito di occupazione israeliano sulla inerme popolazione civile palestinese già stremata da un lungo embargo che ha reso insufficienti e privi di strumenti adeguati gli ospedali della Striscia di Gaza. A poche ore dai primi raid aerei israeliani sulla Striscia si contano già 155 morti e 270 feriti gravissimi, un bilancio destinato purtroppo a crescere. Tra le vittime, dicono i mezzi d'informazione ufficiale, tante donne e tanti bambini, i cui corpi stanno arrivando a brandelli negli ospedali; secondo le fonti sanitarie di Gaza occorrerà trasferire i feriti più gravi in Egitto e non c'è un sufficiente numero di elicotteri per trasportarli.

I morti e i feriti di Gaza sono l'ennesima testimonianza della pulizia etnica che lo Stato israeliano da 60 anni sta portando avanti attraverso una guerra di occupazione, di apartheid, di violenza militare sull'intera popolazione palestinese. Il pretesto dell'attacco "difensivo" dai missili qassam, che il primo ministro Olmert si è affrettato a propinare questa mattina ai ministri degli esteri di tutto il mondo, vuole distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale dal fatto che a Gaza un milione e mezzo di persone sta rischiando la morte da quasi due anni di embargo, che ogni giorno produce vittime.

Complici del terrorismo di Stato israeliano, l'appoggio militare statunitense e il silenzio dei governi europei, che lasciano che in Medio Oriente prosegua a compiersi indisturbato il tentativo di cancellare la Palestina dalle cartine geografiche, e con essa il suo popolo. E' ormai evidente come alla condanna da parte della comunità internazionale dei crimini del nazifascismo non si accompagni ugualmente la condanna della storia e dell'attualità del progetto aberrante di cancellare il popolo palestinese.

sabato 27 dicembre 2008

"Rifondazione Comunista in movimento contro le dimissioni del Presidente della Giunta Regionale"

Rifondazione Comunista in movimento

Area politica del Prc in Sardegna


Cagliari, 23 dicembre 2008

La ricerca di rimedi alla grave situazione di crisi economica e sociale in cui versa la Sardegna non è certo facilitata dalla crisi istituzionale di cui le dimissioni di Soru non sono che l'ultimo atto di un Presidente che gioca spregiudicatamente una carta che non può creare alcun bene alla collettività sarda. E' pura mistificazione, infatti, riportare, così come è stato fatto anche da alcuna stampa nazionale, che le dimissioni di Soru sono maturate nello scontro tra cementificatori delle coste e difensori dell'ambiente. Niente di più falso! Lo scontro è tra coloro che vogliono che in materia urbanistica la programmazione debba competere alla Giunta (e quindi al Presidente) e chi, come noi, ritiene che la competenza rimanga in capo al Consiglio, così come avviene in qualunque consesso democratico. I conflitti interni al Pd hanno ritardato e, a volte, paralizzato l'attività del Consiglio per cui a pur importanti iniziative si contrappone un risultato della legislatura, per molti versi insoddisfacente, che sarà ulteriormente appesantito se, mantenendo Soru le dimissioni, non potrà essere discussa la legge finanziaria, strumento fondamentale per l'operatività di molte aziende e degli enti locali che hanno bisogno, tanto più in una situazione che vede crescere l'indice di povertà delle famiglie, di definire in modo certo i propri capitoli di entrata e di spesa, cosa che non può essere fatta con il bilancio regionale in esercizio provvisorio e operando, di conseguenza, per 1/12esimi. Al di sopra quindi di qualunque tatticismo che le parti contrapposte del PD disinvoltamente praticano, va posto l'interesse della popolazione. Come area politica di Rifondazione Comunista che si riconosce nelle posizioni espresse dalla maggioranza del partito nazionale abbiamo, quindi, fatto quanto era in nostro potere per convincere chi nel partito sardo ha la maggioranza, che la scelta operata da Soru, con le proprie dimissioni, non andava elogiata ma contrastata perché ha le sue radici e la sua conclusione esclusivamente negli interessi e nei rapporti interni al Pd. Opereremo ancora, intervenendo in Aula consiliare e presso l'opinione pubblica affinché gli interessi della Sardegna vengano posti al primo posto e siamo comunque tutti noi impegnati a ricostruire, su basi programmatiche che sappiano rispondere alla gravità della crisi e con uomini che non guardino al proprio tornaconto elettorale, alleanze in grado non solo di battere il centro-destra, ma di riportare anche il ruolo del Presidente e della Giunta alla corretta funzione di esecutivo delle decisioni prese dal Consiglio regionale. Non ci servono governatori, per quanto illuminati ed illustri.

sabato 20 dicembre 2008

Per la difesa dei diritti e della dignità dei cittadini sardi detenuti




L’Associazione 5 Novembre “per i diritti civili” aderisce alla settima edizione della fiaccolata per i detenuti e per le loro famiglie “Stella di Natale del Buoncammino”, organizzata dal comitato spontaneo di cittadini e associazioni di volontariato. Condividiamo lo spirito della fiaccolata per la fraternità, l’accoglienza e la solidarietà. Pensiamo che il sistema dell’esecuzione penale in Sardegna viva un dramma sintetizzato dalle condizioni immorali e incostituzionali dei cittadini detenuti. II nostro impianto costituzionale è incentrato sul principio di eguaglianza e di legalità, ma le condizioni di vita nei luoghi di pena sardi rappresentano forme di illegale maltrattamento più volte sottolineato dai rapporti degli ispettori europei sulle carceri italiane. Al mondo della politica sarda chiediamo l’applicazione della legge e il rispetto dell’articolo 27 della costituzione.

Per l’applicazione del principio di territorialità della pena.
Sono numerosi i detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di giudizio, rinchiusi nelle carceri della penisola. La detenzione lontano dalla Sardegna crea pesanti disagi ai reclusi ed ai loro familiari, che per le visite e i colloqui impiegano diversi giorni di viaggio, con spese gravanti su situazioni economiche sempre molto difficili, e ripercussioni psicologiche per i limiti ai rapporti affettivi nei riguardi soprattutto di bambini e anziani. Chiediamo il rispetto della legge sull'ordinamento penitenziario e la concreta attuazione del protocollo d'intesa tra il Ministro della Giustizia e la Regione sul principio di territorialità delle pene. Il Ministero della Giustizia e la Regione devono rendere noto il numero esatto dei detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di giudizio, rinchiusi nelle carceri della penisola.


Per l’applicazione della Riforma Sanitaria, anche a Buoncammino.
Chiediamo l’immediata applicazione della riforma della sanità penitenziaria nella nostra Regione. Vogliamo il definitivo trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dall’amministrazione penitenziaria al SSN. Pensiamo che il carcere debba rispettare il principio costituzionale della tutela alla salute, perché il cittadino detenuto non può avere una disparità di trattamento rispetto al cittadino libero.


Per l’istituzione del garante dei detenuti in Sardegna.
Chiediamo l’approvazione di una legge regionale che istituisca il garante regionale per i cittadini privati della libertà personale. Sentiamo la necessità di una figura terza, di garanzia e mediazione tra il carcere e il cittadino detenuto. Vogliamo un Garante che vigili e promuova i diritti delle persone private della libertà, anche di quelle sottoposte a misure alternative alla detenzione.


Basta con bambini in carcere, case-famiglia per le madri.
Nel carcere Buon Cammino di Cagliari è detenuta una bambina di 2 anni. La chiameremo Elisa. Elisa, insieme alla madre, resta chiusa in cella per 20 ore al giorno. Elisa, quando sente chiudere la porta della cella, piange e si dispera. Elisa, quando in carcere incontra qualcuno gli tende la mano per essere portata via da lì. Via dal quel posto vecchio e freddo. Via da quella cella buia, dove anche il sole fatica ad entrare. È da agosto che Elisa è detenuta. La madre di Elisa non ha un domicilio e non può quindi ottenere la misura alternativa per le detenute madri. Così Elisa resta in carcere e rischia di passarci il Natale. (da www.radiocarcere.com). Chiediamo di sostituire il carcere con case-famiglia al di fuori delle mura del penitenziario per le donne che non possono rinviare la pena. Pensiamo sia necessario affermare il diritto delle madri a rimanere accanto ai loro figli.

Associazione 5 Novembre “per i diritti civili”
http://associazione5novembre.blogspot.com/
associazionediritticivili@yahoo.it

giovedì 18 dicembre 2008


Partito della Rifondazione Comunista

al Collegio nazionale di garanzia

al Collegio regionale di garanzia sardo

Oggetto: richiesta di pronunciamento del Collegio di garanzia nazionale sulla convocazione cpr sardo.

In data 6 dicembre 2008 è stato convocato il Comitato politico regionale della Sardegna, durante lo svolgimento dello stesso si è deciso, a maggioranza, di procedere al suo proseguimento per il martedì 16 dicembre 2008. A chi richiedeva l’aggiornamento all’8 dic ( giornata festiva che avrebbe facilitato la partecipazione di chi ha impegni di lavoro), è stato risposto che così facendo non ci sarebbe stato il tempo per mandare la comunicazione dell’aggiornamento agli assenti.

Invece per l’aggiornamento nessuna comunicazione, neppure informale, è stata inviata alle Compagne e ai Compagni componenti il Cpr sardo.

Anche a voler intendere che i presenti alla prima riunione fossero debitamente informati del proseguimento della riunione, nessuna comunicazione che avvertisse perlomeno le Compagne ed i Compagni assenti ha dato loro la possibilità di essere informati della nuova data.

All'apertura della seconda riunione veniva fatto notare alla presidenza, composta dal Presidente del Comitato politico regionale , dal Segretario regionale e dal Presidente del Collegio regionale di garanzia, l'anomalia della convocazione medesima e l'assenza di Compagne e Compagni dovuta essenzialmente al non aver avuto nessuna notizia sull’aggiornamento.

Altresì veniva richiesto che durante la riunione non si assumessero decisioni formali che potessero essere in seguito inficiate .

Il Presidente del Cpr , senza alcuna consultazione del Presidente del Collegio di Garanzia, ha risposto che nessuna comunicazione era dovuta , neppure alle Compagne ed i Compagni assenti alla prima riunione, e che comunque la riunione si intendeva perfettamente regolare data anche la presenza del numero legale in sala. Tanto è vero che le votazioni finali su documento ed elezione della segreteria regionale hanno ottenuto 37 voti su 70 componenti del Cpr.

Si chiede, pertanto, al Collegio nazionale di garanzia di volersi esprimere sulla regolarità della convocazione di detto Cpr e pertanto delle deliberazioni assunte.

v.pillai, g.fresu, g.ibba. m.piredda, g.stocchino, v.macrì
Cagliari 18 dicembre 2008

Sintesi intervento di Vincenzo Pillai al cpn del 13 dicembre


Non siamo all’altezza delle difficoltà che il precipitare della crisi economica e sociale ci pone :non solo perché l’azione di logoramento svolta dalla minoranza rende difficile mobilitare il partito nel suo complesso sulle scadenze di lotta che vengono decise ma, soprattutto, perché in questi anni ,quasi tutti noi, abbiamo lavorato pensando che si potesse andare avanti da una elezione all’altra e non ostacolando, quindi,adeguatamente quel processo di istituzionalizzazione del Partito che oggi appesantisce e tende a vanificare la scelta strategica del partito sociale che riparte dal basso a sinistra.

Non c’è bisogno di essere contro la partecipazione del partito alle elezioni per rendersi conto che abbiamo contribuito a creare un ceto che si sta progressivamente autonomizzando, fino a fenomeni estremi, per cui chi è nelle istituzioni crea veri e propri feudi che lavorano solo per riprodurre il potere del consigliere o dell’assessore. In Sardegna, della cui situazione parlerà dopo un altro compagno, vi sono esempi emblematici.

Abbiamo trascurato quella cura del Partito che parte dalla valorizzazione del militante presente nei movimenti , dall’azione di formazione del dirigente attraverso il suo percorso nel luogo di lavoro, nell’esperienza personale dello scontro di classe e della militanza sindacale. Recuperare su questo terreno sarà faticosissimo e il giornale,senza nulla togliere all’autonomo contributo che ogni giornalista può liberamente dare, attraverso il suo lavoro , ad individuare i punti critici della nostra scelta strategica, deve divenire uno strumento di informazione e formazione; in vista di momenti nei quali non è detto che il precipitare del ceto medio verso l’ indigenza faciliti necessariamente una svolta politica a sinistra; non vedo le condizioni culturali di massa e non c’è ancora un partito attrezzato per contrastare prevedibili livelli di populismo fin’ora sconosciuti ai nostri militanti e le azioni dei tanti strumenti, legali e non , di cui possono disporre gli apparati dello Stato.

La riuscita delle manifestazioni di questi mesi, anche a Cagliari, non deve illuderci sul ruolo positivo che in questo momento sta svolgendo la CGIL, perché restano alla sua guida gli stessi che hanno contribuito a disarmare, culturalmente e materialmente, il movimento in presenza del processo di precarizzazione operaia e parcellizzazione sociale, per cui diventa fondamentale e urgente lavorare per una piattaforma condivisa dal quadro militante che è sceso in campo anche se , per ora , sotto sigle diverse.

Comitato Politico Nazionale PRC, 13-14 dicembre 2008. Sintesi dell'intervento di Gianni Fresu


Il quadro politico che emerge dalla crisi del Governo Soru mostra dei tratti di rilievo non solo regionale. La prima considerazione riguarda l’inservibilità politica del PD, artefice principale della crisi. A conferma ulteriore di quanto fosse avventata l’idea della “costituente della sinistra” che puntava tutte le chanches di un nostro rilancio sul rapporto organico con il partito di Veltroni. È paradossale ma il PD, che al momento della sua costituzione è stato presentato come soggetto votato alla stabilizzazione del quadro politico, si è rivelato in tutti i passaggi fondamentali la principale fonte di destabilizzazione e paralisi della maggioranza. Tenendo conto dell’accusa a suo tempo rivolta a Rifondazione (l’inaffidabilità governativa) da DS e Margherita verrebbe da spiegare tutto con la categoria della nemesi. Il PD in Sardegna, ma credo che il discorso valga a livello nazionale, è strutturato come le camarille liberali dell’Ottocento. Non si tratta di un soggetto politico dotato di una sua identità organica e definita ma di un agglomerato composto da consorterie condensate attorno a singole personalità che controllano partito, istituzioni e collegi senza alcun disegno complessivo. A fine Ottocento la dissoluzione del liberalismo italiano portò al tentativo di assemblaggio dei due raggruppamenti tradizionali della Destra storica e della Sinistra liberale per formare un unico «blocco costituzionale» presentato come baluardo contro le due ali estreme della reazione e della rivoluzione. Oggi come allora più che di “trasformazione del sistema politico” si deve parlare molto più prosaicamente di «trasformismo» e il divampare in tutta la sua virulenza della questione morale ne è una conferma. Sia chiaro che neanche Soru, per quanto possiamo rilevare gli aspetti enormemente positivi di questa legislatura, si sottrae a tale dinamica ma è parte in causa. Così, a mio avviso, la vera natura della crisi sta tutta nella lotta senza esclusioni di colpi per la leadership nel PD e nella coalizione di centro sinistra. Detto in altri termini, ci troviamo di fronte ad una crisi pilotata per tagliare gordianamente i nodi non risolti, che scarica irresponsabilmente sulle classi sarde più disagiate il fardello della decomposizione del PD. La crisi è stata decisa proprio quando doveva essere votata la manovra finanziaria, a cui è stata anteposta la legge urbanistica, con il risultato di andare ad elezioni in un periodo di recessione e con la desertificazione industriale in atto (proprio in queste settimane viene chiuso quel che resta dell’industria petrolchimica sarda), condannando l’isola ad un indefinito periodo tempestoso governato con l’esercizio provvisorio. Il nostro Partito si è semplicemente accodato, dopo aver concordato l’intesa futura con il Presidente della Regione non su un accordo programmatico ma su un semplice rapporto fiduciario personale. Su queste basi sarà difficile costruire qualcosa di solido e progressivo, imporre una svolta sul versante delle politiche attive del lavoro e su quelle dell’assetto industriale, deficitarie anche in questa legislatura.

A Cagliari e a Gradisca - Le rivolte degli "ospiti" detenuti


Mercoledì 17 dicembre 2008
da Globalproject.info

La situazione è esplosiva anche e soprattutto per i richiedenti asilo. A gestire le strutture è sempre Connecting People. Sembra ormai trascorso molto tempo da quando l’allora Governo di centro-sinistra guidato dal presidente Prodi aveva giocato la carta dell’umanizzazione dei centri di detenzione. Operazione fallita, questo era logico: la realtà ci racconta di polveriere che ovunque si apprestano ad esplodere e spesso ciò che non è raccontato, è una verità quotidiana di rivolte, tentativi di fuga, insofferenze. Negli ultimi giorni a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e ad Elmas (Cagliari), si sono susseguiti tentativi di fuga a rivolte e manifestazioni di protesta.

Se la realtà di chi è detenuto nelle strutture, o nelle parti dei centri (come a Gradisca), destinate alla Permanenza Temporanea in attesa di espulsione, ora chiamati CIE, è da sempre drammatica, con gli episodi degli ultimi giorni viene a galla una seconda realtà, da sempre denunciata, ma molto spesso dimenticata: quella dei richiedenti asilo. I cosidetti centri di prima accoglienza diventano così delle vere e proprie prigioni. La struttura di Gradisca ha messo a disposizione 250 posti proprio per l’identificazione e "l’accoglienza" dei richiedenti, quella di Elmas è totalmente dedicata agli aspiranti rifugiati. Ad accomunarne le sorti la comune gestione di Connecting People, "impresa socialmente orientata".

I richiedenti asilo, anche grazie alle nuove norme approvate con il Decreto legislativo n. 159 del 3 ottobre 2008, entrato in vigore il 5 novembre scorso, possono essere soggetti alla restrizione della libertà di circolazione. Inoltre, il macchinoso iter per la risoluzione della domanda, fatto di valutazioni, ricorsi e permessi temporanei che si propongono come anti-cametra all’irregolarità, si traduce in tempi di attesa per la risposta che superano ormai abbondantemente i sei mesi, creando situazioni di semi-detenzione, se non di totale di restrizione della libertà, insopportabili.

Ma non è tutto. La Connecting People, a garanzia del "tutto esaurito" (per ogni migrante "ospitato" riceve un lauto compenso), ha saputo mettere in campo un vero e proprio canale preferenziale tra le coste dove avvengono gli sbarchi e le strutture che gestisce. Lampedusa e Gradisca sono al lato opposto della penisola ma Connecting People, ora si è scoperto il motivo della scelta del nome, ha saputo accorciare le distanze con ponti aerei senza precedenti che dalla Sicilia portano i richiedenti asilo a presentare domanda per lo status di rifugiati proprio nel Friuli.

Sulla situazione delle due strutture proponiamo l’intervista a Roberto Loddo (Associazione 5 novembre per i diritti civili di Cagliari) e Cristian Massimo (Associazione Razzismo Stop FVG) e alcuni approfondimenti.

Cpa di Elmas - La denuncia delle associazioni: il centro è una prigione
Intervista a Roberto Loddo, Associazione 5 novembre per i diritti civili
L’inferno di Elmas in Sardegna, il Cpt della rabbia di Costantino Cossu
Protesta rifugiati davanti prefettura Cagliari Fonte: Sardegna Oggi 09.12.08

Cpt di Gradisca - Tra disordini, fughe e speculazione dei gestori
Intervista a Cristian Massimo dell’Associazione Razzismo Stop
Cpt di Gradisca - Una rivolta nel Cie non pacificato Fonte: Meltingpot.org 09.12.08
Accoglienza e detenzione: le due facce del cpt di Gradisca di Gabriele Del Grande
Gradisca. Cpt, la gestione a Connecting people

mercoledì 17 dicembre 2008

Occupazione delle fabbriche, nazionalizzazione delle banche...la svolta a sinistra di Rifondazione!


di Mauro Piredda
dal Blog dei gc di Sassari

Nel volantino che abbiamo distribuito come Giovani Comunisti e circolo studentesco Majakovskij il 4 dicembre scorso, in occasione dello sciopero di Porto Torres contro la chiusura del petrolchimico, abbiamo messo alcuni punti che saranno nel prossimo periodo colonne portanti per l'uscita a sinistra dalla crisi del capitalismo.

Con la nostra modestia e con la nostra umiltà, vogliamo proporre, come estrema lotta e come unica forma di garanzia contro la desertificazione industriale, l’occupazione degli impianti prima che siano i padroni a chiuderli" con l'inevitabile sbocco della nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori. Rivendicazione da estendere a tutti quei settori privatizzati negli ultimi 20 anni.

"Con tali risorse in mano e con un sistema di banche pubbliche sarebbe possibile sviluppare grandi piani di intervento su assi centrali quali: edilizia pubblica, sistema energetico, trasporto pubblico locale e nazionale, servizi pubblici essenziali, telecomunicazioni in modo da garantire la piena occupazione".

In quella manifestazione abbiamo portato queste rivendicazioni, con molta umiltà, dopo essere andati più volte ai cancelli del petrolchimico: per esprimere la nostra solidarietà, per rivendicare l'unità studenti-lavoratori, per l'inchiesta lampo sui lavoratori e la crisi. Proposte forti, certo; l'alternativa?

Oggi queste rivendicazioni le troviamo nel documento finale del Comitato politico nazionale di Rifondazione. Ed è un segnale chiaro della svolta a sinistra che inizia a prendere corpo.

"La difesa del reddito di chi perde il lavoro è per noi legata indissolubilmente alla difesa dell’occupazione e di tutti i posti di lavoro minacciati dalla crisi. Aderiamo pertanto all’idea proposta dal segretario della Fiom del blocco dei licenziamenti. Tale rivendicazione va sviluppata in tutte le sue implicazioni, dalla proposta della riduzione dell’orario di lavoro come strumento per mantenere l’integrità della forza lavoro distribuendo il lavoro disponibile, fino alle sue conseguenze più radicali, ossia la difesa attraverso la mobilitazione e l’occupazione di quelle aziende che minacciano chiusura, licenziamenti, delocalizzazioni, smantellamento di interi settori".

In diversi angoli del mondo questa forma di lotta è portata avanti dai lavoratori più avanzati (e Marx diceva che non è la coscienza degli uomini a determinare la loro condizione sociale, ma è la loro condizione sociale a determinarne la coscienza) in lotta per la difesa del posto di lavoro: Argentina, Venezuela, Brasile, ma anche Stati Uniti d'America come dimostra il caso della Republic Doors & Windows di Chicago (una cosa che non si vedeva dagli anni '30). In alcuni casi delle aziende, e interi settori, sono stati nazionalizzati con i lavoratori che hanno condotto tale lotta nello stesso tempo che producevano sotto controllo operaio!

Ma chi produce sotto il controllo operaio ha dei problemi non di poco conto: l'approvvigionamento delle materie prime, la questione del credito e la commercializzazione. Problemi che richiedono risposte di sistema poichè il controllo pubblico sulla produzione si deve estendere alle altre fabbriche, la distribuzione deve essere funzionale agli interessi della società e le banche...devono essere pubbliche, nazionalizzate anch'esse!

Dal documento: "Proponiamo la nazionalizzazione della banche di interesse nazionale al fine di una gestione del credito svincolata dalla ricerca della redditività a breve e finalizzata alla riconversione ambientale della produzione". Anche perchè...come facciamo a riconvertire ambientalmente lo stabilimento di Porto Torres, ad esempio, se l'azienda rimane funzionale al profitto di pochi e se non vi è un sistema del credito all'altezza?

Due cose. La prima è che non è sufficiente parlare di nazionalizzazione delle banche: Northern Rock in Inghilterra e Fortis in Belgio sono state nazionalizzate; ma si tratta nella sostanza di un afflusso di capitali pubblici nelle banche senza che questo implichi la partecipazione dello Stato ai consigli di amministrazione, né un reale controllo che possa essere esercitato. Il controllo pubblico deve essere il prossimo e imminente argomento da sviscerare per approfondire la questione.

La seconda è che le rivendicazioni immediate e la prospettiva generale, per dare una risposta di sinistra alla crisi, devono essere interconnesse con un paziente lavoro politico-programmatico e teorico che coivolga tutti i livelli del partito e di intervento nei luoghi del conflitto.

lunedì 15 dicembre 2008

L’inferno di Elmas in Sardegna, il Cpt della rabbia

di Costantino Cossu
Il Manifesto 11 dicembre 2008

Lo chiamano centro di accoglienza, ma è peggio di una prigione. Chiuso nella zona militare dell’aeroporto, circondato da filo spinato e militari armati, il centro è sovraffollato. All’interno sbarre e il rischio costante di rivolte

Si chiama Ilyes Fanit.
Poco meno di tre mesi fa, la mattina del 25 settembre, è stato messo su aereo che lo ha riportato a casa, in Algeria. Il giorno prima, il 24, davanti a una macchinetta automatica del caffé del centro di prima accoglienza di Elmas, aveva preso a spintoni un poliziotto, dato testate contro la porta dell’infermeria e poi dell’ufficio della polizia scientifica. Le due porte sono state quasi sfondate, Ilyes s’è fatto parecchi lividi. In questura, in cella in attesa del rito direttissimo, ha trovato il modo di ferirsi all’addome. Ha 21 anni, Ilyes, ed è stato condannato a 6 mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena.

Reati contestati: resistenza e violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Nella notte tra mercoledì 17 e giovedì 18 settembre c’era anche lui tra gli ottantasette algerini che hanno distrutto mensa, telecamere, porte e uffici del centro in una rivolta improvvisa e violenta. Secondo la questura di Cagliari, la scintilla è scoppiata dopo un battibecco con gli ospiti somali del Cpa: loro liberi di entrare e uscire perché hanno chiesto asilo politico. Clandestini irregolari in attesa di trasferimento nei centri della penisola e «asilanti» s’incontrano solo alla mensa e sempre sotto l’occhio del personale di sorveglianza. La notte della rivolta alcuni somali erano rientrati più tardi e avevano trovato gli algerini in mensa (dopo il tramonto per via del digiuno religioso).


Gli ultimi due piani del centro sono stati devastati. Sono volate le porte, le finestre, sono stati divelti i sanitari, distrutte le telecamere del controllo a circuito chiuso. Gli scontri sono durati sino all’alba e nessun osservatore esterno ha potuto verificare come siano andate realmente le cose. Pochi giorni dopo, Ilyes non ha litigato con i somali. Si è infuriato quando un poliziotto, vedendolo al centro della sala, gli ha detto di andare nella parte riservata ai clandestini irregolari. Ma le cause vere della rivolta sono altre. Il Cpa è sovraffollato e viverci è un inferno.

Il centro di Elmas è stato aperto nel giugno di quest’anno. Serve principalmente a raccogliere i migranti che sempre più numerosi approdano su barche di fortuna sulle coste meridionali della Sardegna. Arrivano soprattutto dall’Algeria. Nel 2007 ne sono sbarcati circa 1800. Per quest’anno non ci sono ancora cifre definitive, ma pare che gli arrivi siano più o meno duemila. La gestione del Cpa è stata affidata a Connecting People tramite il Consorzio Solidarietà di Cagliari, che deve garantire i pasti, le pulizie, l’assistenza sanitaria, la presenza di mediatori culturali. Per la sorveglianza sono impiegati venti poliziotti e altrettanti carabinieri. Dopo la rivolta sono arrivati anche i fanti della Brigata Sassari, truppe scelte già impiegate in Iraq e in Afghanistan.
Le condizioni di vita di chi sta dentro il centro non sono molto diverse da quelle di un carcere. In più molti dei reclusi sono in attesa di capire se avranno diritto all’asilo politico o se saranno costretti al rimpatrio. «Il problema vero - dicono i militanti del Comitato antirazzista nato a Cagliati per difendere i diritti civili dei migranti - è l’aumento dei tempi di permanenza nei centri di identificazione, dovuto alla nuova normativa per gli rifugiato o di protezione umanitaria. Non sapevano dove andare. Pochi quelli che parlavano l’inglese o l’italiano e nessuno conosceva la Sardegna. Sinora solo una comunità francescana ha offerto venti posti letto, largamente insufficienti per il bisogno che cresce».

«Sono - aggiunge Petra - cittadini somali che fuggono da una situazione di guerra di fatto, che vede gran parte del territorio controllata dalle corti islamiche. Oppure eritrei oppositori di un regime che ha assunto i tratti di una dittatura sanguinaria. Tra di loro diversi intellettuali: scrittori, giornalisti, poeti». Gente che non è sbarcata direttamente sulle coste della Sardegna. Per fuggire hanno affrontato un viaggio agghiacciante. A piedi attraverso il deserto del Sudan settentrionale per raggiungere la Libia, la lotta disperata contro la fame, la sete e la fatica, i compagni di viaggio che non ce l’hanno fatta abbandonati, cadaveri, sulla sabbia. Dopo un un periodo non facile trascorso in Libia, in un campo profughi, la traversata via mare su barche scassate sino a Lampedusa. Qui, prima schedati come clandestini e poi smistati ad Elmas, in attesa che la domanda di asilo fosse esaminata. Quando la questura di Cagliari ha aperto i cancelli del centro ai cronisti per fare un po’ di pubbliche relazioni, i fuggiaschi hanno raccontato le loro storie. Alcuni hanno pagato mille e cinquecento dollari per attraversare il deserto e raggiungere Lampedusa, viaggiando per quasi cinque mesi e lasciando la famiglia in patria, con la speranza di trovare in Italia scampo alle persecuzioni e un lavoro. Altri hanno speso duecento dollari per un passaggio in auto dalla Somalia alla Libia, per poi affrontare la traversata fino a Lampedusa con altre centinaia in fuga dalla guerra o dalla povertà.

Tutti, davanti ai taccuini dei giornalisti, hanno parlato dell’Italia come di un Paese di pace, accogliente, dove realizzare il sogno di studiare, lavorare, vivere liberi e sicuri. Erano le prime settimane di permanenza nel centro. Poi le cose sono cambiate. Oggi il futuro fa solo paura.

domenica 14 dicembre 2008

Relazione di Paolo Ferrero al Cpn del 13 dicembre 2008


Care compagne e cari compagni,
Dopo il congresso, questa è la prima occasione di confronto a tutto tondo. Io cercherò di affrontarla nella maniera più schematica possibile, dando per letti e acquisiti dalle compagne e dai compagni l'insieme degli atti della recente direzione e che sono stati pubblicati su Liberazione.

1. Il contesto della crisi è quello decisivo
E' esplosa una crisi dell'economia capitalista globalizzata di carattere strutturale. Il mondo ha attraversato un ciclo liberista di lungo periodo. La rivoluzione restauratrice prodotta da questo ciclo ha sconfitto a livello mondiale il movimento operaio e le istanze di rinnovamento e ha destrutturato i diritti del lavoro e il welfare. Si è raddoppiato "l'esercito salariato di riserva", si sono prodotti effetti devastanti nella direzione di salari sempre più bassi e di incremento della precarietà. In realtà, invece, si dimostra come bassi salari e precarietà siano l'origine profonda di questa crisi. La speculazione finanziaria ha avuto l'effetto di farla esplodere ma non di causarla. E non si intravede, dentro il contesto delle economie attuali, una nuova locomotiva che traini la ripresa.
La tesi che intendo avanzare è, pertanto, la seguente: noi dobbiamo cogliere la crisi come "luogo storico", come crisi costituente, in cui si rompono gli equilibri esistenti. Dentro la valanga della crisi, nulla rimarrà come prima. Basta vedere cosa sta accadendo nel nostro apparato industriale: un milione di posti di lavoro in meno, precarietà portata ancora di più all'estremo, insicurezza che diviene condizione generale di esistenza per milioni di persone.
Il punto centrale che sottopongo alla discussione è che per una forza della trasformazione, quale la nostra, il no alla crisi non basta, occorre la capacità di un salto di qualità, di saper proporre un progetto alternativo. Da questa crisi, se ne esce o a destra o a sinistra (l'unica cosa esclusa è il poterne uscire al centro).
Non siamo, come Rifondazione comunista, solo gli eredi della sconfitta degli anni 80 e 90. Noi dobbiamo avere la capacità di ricollocare la nostra iniziativa dentro la novità della crisi strutturale del capitalismo globalizzato.
Il governo sembra cogliere bene questa situazione, dal suo punto di vista. La sua iniziativa, infatti, si propone di intervenire dentro la crisi, cercando di utilizzarla ai fini di una ristrutturazione in senso autoritario, attraverso l'uso regressivo dell'intervento pubblico. Nelle misure proposte, il governo, infatti, interviene per salvare le banche e i grandi interessi ma senza mettere in discussione il modo di funzionare di tali istituti, ripropone le grandi opere connesse a quegli interessi, non da nulla sul versante del lavoro e delle pensioni, opera una politica di tagli al welfare, interviene con misure di elemosina caritatevole, proponendo se stesso come "nuovo sovrano" che si rapporta direttamente ad alcune fasce di povertà, una relazione diretta tra il potere centrale e i soggetti atomizzati e senza rappresentanza.
Insomma, l'ipotesi dell'uscita da destra dalla crisi è molto forte. La sfida che dobbiamo essere in grado di portare avanti è assai difficile. Ma questa deve essere la nostra ambizione: proporre una alternativa, una uscita da sinistra.

2. La ripresa dei movimenti
Abbiamo scommesso sulla ripresa dei movimenti. Non tutti, a dire il vero. Anche nel nostro congresso, c'è stata una posizione che, proprio partendo da una valutazione negativa su questo, pensava alla necessità di una supplenza politica dall'alto e ha contrastato l'ipotesi politica di ripartire dalla società e dal basso.
Penso che dovremmo approfondire l'analisi sul movimento della scuola. Esso esprime una fortissima politicità, a partire dalla capacità di aver saputo unificare un fronte che si è spesso frantumato (i docenti, gli studenti, il personale tecnico, i genitori delle scuole elementari). La politicità che il movimento ha espresso è data sia dalle indicazioni generali che ha posto ("noi non paghiamo la vostra crisi") sia dalla capacità di saper proporre una piattaforma complessiva che esprime una idea della conoscenza come bene comune. E' proprio questa politicità (non il suo contrario) che permette al movimento di autorappresentarsi e non delegare alla politica come oggi è.
L'altro elemento fondamentale è la collocazione di autonomia che la Cgil è andata assumendo sia in rapporto al governo che alla Confindustria. La scelta dello sciopero generale è stata importantissima. Non dobbiamo sottovalutare quanto avvenuto: il successo dello sciopero generale della Cgil e dei sindacati di base non era scontato. Su questo percorso, dobbiamo investire con determinazione. Dobbiamo lavorare per consolidarlo anche perché è chiaro che la Cgil ha conquistato una autonomia ma ancora non ha elaborato una piattaforma complessiva alternativa alla concertazione. E' del tutto evidente, infatti, come la collocazione attuale della Cgil contribuisca all'ossatura dei movimenti, alla loro massa critica, a mettere in relazione i soggetti. Anche da questo punto di vista, la crescita dei movimenti è decisiva perché esprimono l'esigenza di una fuoriuscita dalla logica della concertazione.
Questa è la divaricazione che indica anche il crocevia di fronte alla crisi: il governo e la confindustria propongono un'uscita da destra e i movimenti indicano la possibilità di una uscita da sinistra.

3. La contraddizione del Pd
Il Pd non è stato in grado di aderire allo sciopero generale perché non è autonomo dalla Confindustria. Possiamo sostanzialmente dire che tra governo e movimento, il Pd ha una posizione terzoforzista. Può trarre un successo solo nella misura in cui i movimenti vengano sconfitti nella loro capacità di porsi autonomamente nei confronti del governo e, quindi, vengano ricacciati in una logica lobbista.
La nostra autonomia dal Pd, quindi, semmai va accresciuta e proprio il tema della relazione con i movimenti segna la differenza strategica tra il nostro progetto e quello del Pd. Vorrei sottolineare come sia un errore madornale affidarsi alle divisioni interne al Pd . La divisione nel Pd non incrocia nemmeno minimamente il tema dell'autonomia e della dinamica dei movimenti.

4. La proposta del coordinamento della sinistra
Noi abbiamo avanzato la proposta del coordinamento delle forze della sinistra. Su questa proposta, vogliamo rapidamente stringere con tutti coloro che sono disponibili. Vorrei precisare la differenza tra questa proposta e quella del coordinamento delle opposizioni. Naturalmente, ovunque possibile, non siamo ostili ad iniziative comuni con le altre opposizioni non di sinistra. Il punto è che con il Pd e Italia dei Valori manca la concordanza su temi decisivi e che riguardano la lotta alla precarietà, i diritti del lavoro, la redistribuzione del reddito, la politica ambientale, l'intervento pubblico e così via.
Penso che a sinistra, occorrerebbe uscire dalla schizofrenia: o partito unico o il deserto. Penso, invece, che occorra riconoscere le differenze politiche che ci sono e, al tempo stesso, valorizzare le convergenze programmatiche che sono possibili, partendo da esse, per proporre una azione comune che possa favorire l'ulteriore crescita dei movimenti.

5. Per l'uscita a sinistra dalla crisi
Quali sono i punti forti di una proposta complessiva che intervenga, dentro la crisi, per proporre una fuoriuscita da sinistra dalla crisi globale?
Propongo una schematizzazione di questo intervento, così articolato nei suoi tratti essenziali:
- la crisi è strutturale e frutto delle politiche neoliberiste (non solo dei suoi eccessi speculativi): bassi salari e precarietà sono cause fondanti la crisi che attraversiamo. Senza affrontare questi nodi non si affrontano le cause della crisi.
- Conseguenza di questo è che dalla crisi non si esce con i sacrifici (ovvero con meno salari e più precarietà). Così la crisi si aggrava. Ridistribuire il reddito a vantaggio del lavoro dipendente e delle pensioni aiuta la soluzione della crisi.
- Ridistribuire il reddito si può, partendo da misure molto semplici: reintrodurre la tassa di successione, introdurre la tassazione delle rendite finanziarie, dei grandi patrimoni immobiliari, la tobin tax, intervenire sui paradisi fiscali, ridurre le spese militari.
Qual è l'obiettivo di fondo che dobbiamo lanciare con le risorse che si producono in questo modo?
Occorre garantire a tutti i lavoratori, a prescindere dalla dimensione produttiva e dalla forma contrattuale che si possiede, il diritto agli ammortizzatori sociali. Insomma, di fronte alla perdita del lavoro, va data la garanzia del reddito a tutti. Connessa a questa, il salario sociale per chi il lavoro non ce l'ha.
A questo, naturalmente, vanno accompagnate misure sulla riduzione della tassazione sul lavoro, la restituzione del fiscal drag, ecc.
In secondo luogo, dalla crisi non si esce con il medesimo modello economico e di sviluppo. E' necessario un intervento generale per la riconversione ecologica dell'apparato produttivo e dell'economia.
E' in questa prospettiva (cioè la risposta alla crisi) che dobbiamo proporre il tema decisivo del controllo pubblico del credito, ovvero la nazionalizzazione dei grandi istituti. Insomma, senza un progetto e strumenti concreti, come il controllo pubblico del credito, un obiettivo di tale forza strategica non è proponibile. Il governo, al contrario, interviene per socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Altro punto da porre con forza riguarda il diritto dei lavoratori di riappropriarsi del Tfr, a partire dal diritto di poter ritornare indietro rispetto alla scelta fatta (o alla non scelta, funzionando il cosiddetto metodo del silenzio assenso).
Su questa impostazione generale, è necessaria una offensiva anche di carattere culturale. Occorre affermare con grande nettezza che chiedere maggiori diritti e più salario non è un atto egoistico, di cui vergognarsi perché c'è la crisi. E' il contrario: è la condizione essenziale per risolvere la crisi. Gli aumenti fanno bene al Paese e all'economia. Altrimenti, c'è il rischio che ognuno lotti quando è toccato personalmente dalla crisi ma poi sia ancora vittima dell'ideologia dei sacrifici e dell'egemonia culturale del neoliberismo.

6. Riconvertire l'iniziativa del Prc
Un salto è necessario nella nostra iniziativa. La nostra collocazione deve essere la seguente: stare nella crisi per impedire la guerra tra i poveri, costruendo il conflitto. In questa prospettiva, occorre fare attenzione anche al modo di intendere il rapporto con le istituzioni, anche quelle locali. Non dobbiamo essere, o essere vissuti, come i difensori delle istituzioni, quelli che si mettono in mezzo tra queste e i movimenti. Al contrario, anche la postazione nelle istituzioni, vanno utilizzate al fine della crescita dei movimenti.
In questa prospettiva, vanno ulteriormente rilanciate le attività di mutualismo. Su questo, si è svolta una polemica che ritengo vada superata. Certamente, distribuire il pane a un euro al chilo non esaurisce la nostra iniziativa, anche dentro la dimensione del mutualismo. Ma, diviene un fato importante se è dentro il recupero della politicità del mutualismo, che è stata componente fondamentale della crescita del movimento operaio. L'obiettivo deve essere uno spostamento rispetto a come siamo percepiti oggi, dentro la crisi della politica.
Sugli enti locali, dobbiamo avere una riflessione approfondita. Vorrei sottolineare l'importanza della tornata della prossima primavera e della necessità di affrontarla con un profilo politico preciso e unitario. Va effettuata una attenta verifica delle alleanze, rifiutare accordi con l'Udc e, anche dentro quello che si può definire il vecchio centro sinistra, va richiesta e ottenuta una qualificazione programmatica e un rigore sulla questione morale che non lasci ombre e segni una discontinuità netta con la pratica politica prevalente dentro il sistema politico attuale. Siamo per investire con determinazione per una apertura delle liste alla società e ai movimenti (pensiamo a proporre un'apertura del 50% delle liste ai non iscritti). Al contempo, affermiamo l'esigenza di presentare liste del Prc, con il nostro nome e simbolo perché quella della rifondazione comunista è la nostra prospettiva.

7. Liberazione e la comunicazione.
La direzione ha chiesto la predisposizione di un piano di risanamento e di rilancio del giornale con l'obiettivo del pareggio di bilancio per il 2009. Il deficit del giornale, come è del tutto evidente, è oggettivamente incompatibile con la sopravvivenza del partito.
Oggi dobbiamo svolgere una discussione di carattere politico sull'indirizzo del giornale. Io non credo che la questione da affrontare sia quella dell'autonomia del giornale ma il fatto che oggi Liberazione risponda ad un altro progetto politico, che è quello del superamento del Prc. E' questo il problema che riscontro al giornale.
Vorrei proporre anche l'assunzione di una iniziativa editoriale nuova: la promozione di una rivista del Prc, come spazio pubblico comune di riflessione e confronto, utile per proporre analisi e inchiesta e anche per favorire una circolarità del nostro dibattito e di quello dentro a tutta la sinistra.
Dobbiamo, infine, avviare una discussione più approfondita sulle forme di comunicazione. Occorre protestare e manifestare contro la censura del servizio pubblico ma occorre anche affrontare il problema di come noi parliamo al Paese e ripensare le forme con cui comunichiamo con l'esterno, da internet al sistema radiotelevisivo.

http://home.rifondazione.it/xisttest/content/view/4099/314/


sabato 13 dicembre 2008

SCIOPERO GENERALE , OTTIMA RIUSCITA. ORA E' NECESSARIO PROSEGUIRE LOTTA ALLE POLITICHE DI GOVERNO E CONFINDUSTRIA


Dichiarazione di Paolo Ferrero, segretario nazionale del Prc

Sono davvero felice dell'ottima riuscita dello sciopero generale indetto oggi dalla Cgil e dai sindacati di base, sciopero cui ho partecipato a Pescara, regione alla vigilia di una importante prova elettorale e in cui stasera, a Chieti, chiuderò la campagna elettorale del Prc.

Adesso, però, rispetto allo sciopero generale e alla lotta al governo Berlusconi e ai suoi nefasti provvedimenti economici e sociali, bisogna proseguire, nelle lotte, e non fermarsi, per costruire una vertenza generale per uscire dall'attuale crisi economica a sinistra.
Ecco perché è necessario da un lato aumentare stipendi e pensioni e finanziare la spesa sociale attraverso la tassazione delle rendite e delle specculazioni finanziarie e una patrimoniale, dall'altro dare garanzia a chiunque perda il posto di lavoro della cassa integrazione.

Da questo punto di vista, penso non solo che sia profondamente sbagliata l'assenza del Pd dalle piazze e dagli scioperi di oggi, ma anche che questa assenza la dica lunga sulla suubalternità del Pd alle politiche di Confindustria e, di conseguenza, del governo.
Ecco perché penso che sia altrettanto urgente che la sinistra d'opposizione, soprattutto quella oggi extraparlamentare, si coordini e lavori assieme a partire da alcuni, semplici, punti programmatici per uscire a sinistra dalla crisi, invece di continuare a perdere tempo in inutili e politicisti cartelli e alchimie tutte e solo elettorali.

incontro e dibattito 14 dicembre a Quartu‏


Domenica 14 dicembre, ore 10,30

Quartu S. Elena Sala ex Ottocento

Viale marconi 338 – Primo piano – di fronte alla chiesa di S. Elena

il Gruppo Consiliare del Partito della Rifondazione Comunista di Quartu S. Elena

organizza

incontro e dibattito

Globalizzazione, alimentazione ed agricoltura

Parteciperanno:

· Serjo Escribano, direttore Cerai, l’organizzazione spagnola che ha gestito il forum internazionale sulla Riforma Agraria

· Caterina Giannaki, responsabile del movimento contadino greco del NEAK (nuova agricoltura)

· Stocchino Giuseppe, Capogruppo del Partito della Rifondazione Comunista

· Gianni Fabbris, coordinatore nazionale di ‘Altragricoltura’

coordina Elio Pillai del Comitato NO al G8

interventi di agricoltori , consumatori , amministratori locali , associazioni di acquisto solidale, associazioni di categoria, di cittadini e cittadine che vorranno intervenire

mercoledì 10 dicembre 2008

BASTA DEPORTAZIONI - DIGNITA' PER I RIFUGIATI


La polizia carica migranti, antirazzisti e studenti

Cagliari la polizia carica i manifestanti
BASTA DEPORTAZIONI - DIGNITA' PER I RIFUGIATI
Migranti, Antirazzisti e Studenti uniti nella Lotta

Da un mese a questa parte gruppi di migranti cui è stato riconosciuto il diritto di asilo ricevono i documenti e vengono immediatamente estromessi dall'hotel-prigione 4 torri (Setar) o dal CPA di Elmas dove sono stati deportati da Lampedusa dal Maggio 2008 in poi.
Dopo essere stati trattenuti in stato di totale indigenza e con divieto di lavoro per 5-6 mesi vengono buttati in mezzo ad una strada senza avere le risorse per proseguire il loro viaggio (ben pochi di loro si trattengono in Sardegna) e neppure per sopravvivere.
Alcune di queste persone deportate in Sardegna e poi abbandonate in stato di indigenza hanno trovato ospitalità provvisoria presso strutture di proprietà di religiosi, i più sono riusciti ad ottenere un piccolo prestito da parenti e amici e sono partiti, ma il numero di coloro che sono bloccati a Cagliari senza risorse è in continuo aumento.
È un fatto strutturale, le autorità considerano la Sardegna un luogo particolarmente adatto per la deportazione di profughi di guerra e richiedenti asilo, perché dall'isola è difficile allontanarsi, quindi la scelta di abbandonare queste persone prive di risorse è strategica e non accidentale.
Per questo i militanti antirazzisti hanno affrontato la situazione cercando di costruire lotte assieme ai migranti, per porre fine alle deportazioni e perché le autorità responsabili fornissero loro i mezzi per proseguire il viaggio o per inserirsi dignitosamente nell'isola, se lo vogliono.
Oggi, esasperati per la loro condizione, una decina di migranti si sono recati in prefettura con due militanti antirazzisti che facevano loro da interpreti.
Qualche giorno fa gli era stato riconosciuto il diritto di asilo, e da allora si trovano in mezzo ad una strada. La loro intenzione era appunto quella di chiedere alle autorità di risolvere una situazione da loro stesse creata, e perciò alle 11 di mattina si sono presentati nell'androne del palazzo viceregio, dove hanno chiesto di parlare col prefetto.
Dopo vari tentativi di convincerli a rivolgersi altrove, la loro istanza è stata inoltrata al prefetto, che ha mandato a dire, come prevedibile, che non era affar suo e che si rifiutava di incontrarli.
A questo punto i migranti vengono invitati a lasciare la prefettura ma si rifiutano di allontanarsi senza prima aver incontrato il prefetto.
Gli antirazzisti sono con loro.
Dopo una mezzora al nugolo di agenti Digos si aggiunge un reparto antisommossa con alla testa il vice Gargiulo. Subito dopo un nutrito gruppo di antirazzisti e di studenti occupanti la vicina università arrivano a rafforzare il presidio. Rapidamente uno striscione viene preparato ed esposto: “Basta deportazioni – Dignità per i rifugiati”.
Altri migranti si aggiungono, sino a riempire completamente l'androne della prefettura.
A questo punto, il vice Gargiulo si allontana per pochi minuti e al ritorno sostiene di aver parlato col prefetto e pretende che le persone presenti si allontanino ma ancora una volta i migranti si rifiutano e antirazzisti e studenti con loro. A un cenno del vice gli antisommossa calzano il casco e imbracciano scudo e manganello, l'ultimatum del vice è seguito da un ostinato silenzio.
La prima spinta degli antisommossa non smuove il blocco compatto dei manifestanti, che controspingono con energia guadagnando qualche posizione. Vista la mala parata, per risolvere la situazione, gli antisommossa incominciano a manganellare tutti selvaggiamente. Solo in questo modo riescono a respingere i manifestanti all'esterno, chiudendosi dietro il portone.
In questa fase si contano diversi contusi. A una manifestante che cercava di ripararsi è stato fratturato un braccio con una manganellata.
Il fronteggiamento è proseguito all'esterno sino a tarda sera e il presidio è stato fortemente rafforzato dalle numerose persone accorse alla notizia della carica, circa 150 persone si sono raccolte per sostenere la lotta dei migranti.
I più impressionati e furenti per quanto accaduto erano proprio i profughi. L'immagine idealizzata “dell'occidente democratico” che si portano dietro non comprendeva evidentemente queste forme ottuse di violenza poliziesca. Hanno reagito con rabbia, offese taglienti e lazzi diretti ai poliziotti, e con canti che antirazzisti e studenti contano di farsi insegnare al più presto.
In tarda serata la consigliera regionale Caligaris ha tentato una mediazione: dopo aver ribadito l'impotenza della prefettura, raccogliendo cori di proteste tra i manifestanti, si è azzardata a dire che la regione potrebbe forse coprire almeno le spese di viaggio dei migranti.
Su questa promessa i migranti hanno deciso di togliere il presidio di fronte alla prefettura, pronti a riprenderlo il giorno dopo se le promesse non saranno mantenute.

CONTRO OGNI FRONTIERA
PER LA LIBERA CIRCOLAZIONE DI OGNUNO DOVUNQUE
No border Sardegna
http://www.informa-azione.info/cagli...sti_e_studenti

Con gli studenti, per l'unità dei lavoratori

di Vincenzo Pillai

Sono proprio incazzato perché trovo indecente che mentre i cani sguinzagliati dai padroni ci mordono le chiappe , dirigenti sindacali non sappiano unificare in un unico corteo il movimento

E’ indecente che finiscano per trasferirle dentro il movimento degli studenti la necessità di scegliere se partecipare al corteo della CGIL o a quello dei COBAS. Un movimento che aveva saputo trovare il giusto equilibrio nella definizione di essere politico senza delegare neppure una briciola di rappresentanza ai partiti che aveva trovato in quel “ non vogliamo pagare la crisi “ creata dal sistema di organizzazione produttiva e di relazioni sociali debba discutere e dividersi perché questo o quel dirigente sindacale vuole pescare adepti o garantirsi la riuscita della manifestazione avendo nel proprio corteo la massa degli studenti

E il tutto fatto in modo ricattatorio, perché basato sulla volontà che gli studenti hanno manifestato di voler essere in piazza con i lavoratori , perché è ormai chiaro che il precipitare della crisi risparmierà solo i ricchi che ,come sempre troveranno qualche marchingegno per arricchirsi ancora di più sulle disgrazie altrui.

giovedì 27 novembre 2008

Soru si dimette, Veltroni in pressing


Andrea Scarchilli
26 novembre 2008
da AprileOnline

La decisione del governatore sardo arriva dopo la bocciatura di un emendamento alla legge urbanistica regionale presentato dalla sua Giunta. Ora ci sono trenta giorni per eventuali ripensamenti, il segretario invia Migliavacca per tentare la dissuasione. Altrimenti si andrà al voto anticipato, probabilmente a febbraio.

Il segretario Walter Veltroni lo ha chiamato in mattinata, poi ha fatto annunciare di aver inviato il "luogotenente" Maurizio Migliavacca, per tentare di dissuaderlo. Certo è che le dimissioni del governatore della Sardegna Renato Soru sono per il Partito democratico una bella grana. Il fondatore di Tiscali, nonché fresco editore dell'Unità, le ha già formalizzate con il presidente del Consiglio regionale. Adesso lo statuto prevede un mese di "raffreddamento" in cui il governatore dimissionario avrà tempo di ripensarci. Su questo punta Veltroni, che non vuole ritrovarsi il cammino da qui alle Europee spezzato da un voto regionale che, nelle condizioni che si sono venute a creare, vedrebbe il Pd in posizione di forte svantaggio. Se infatti Soru confermasse il passo indietro, elezioni in Sardegna di terranno, probabilmente, il venti febbraio prossimo. Anticipando di due - tre mesi la scadenza naturale del mandato della Giunta sarda, che decade nella primavera prossima. Dichiarazioni di sostegno a Soru sono arrivati anche da altri leader democratici come Enrico Letta e Paolo Gentiloni. Appello all'unità da Arturo Parisi.

La scelta di Soru arriva in conseguenza della spaccatura della maggioranza che lo sostiene, per di più su una legge cardine della sua strategia politica: la riforma urbanistica regionale. A un emendamento della Giunta hanno votato contro un pezzo di Partito democratico, i socialisti e la Sinistra autonomista, che comprende alcuni fuoriusciti di Rifondazione comunista, Sinistra democratica e Pdci. Soru ha sottolineato di aver fatto una scelta consapevole ("non occorre governare a tutti i costi") e non frutto di un gesto d'impeto, ha parlato di "percorso di coerenza con il programma di governo, con cui ci siamo presentati agli elettori". Coerenza che rischiava di venir meno e da qui la decisione di "segnare un distacco dalla maggioranza". La scelta di Soru, in ogni caso, non appare irrevocabile, lui stesso l'ha smorzata più volte con dichiarazioni del tipo "i prossimi giorni serviranno per vedere cosa fare" e "abbiamo tutto il tempo per riflettere e verificare il patto e utilizzeremo a pieno le norme di legge". Per venerdì è previsto un vertice di coalizione con tutti gli alleati, in cui si incomincerà a verificare se esistono i presupposti per una ricomposizione.

Invoca un ripensamento di Soru anche tutta coalizione che lo sostiene, secondo cui l'incidente di ieri (martedì) ha poco a che fare con l'urbanistica e molto con il metodo di governo e il rapporto tra il governatore e alcune anime della coalizione. "Ieri - ha detto il relatore della legge, il democratico Giuseppe Pirisi - avremmo potuto approvare la legge urbanistica nel giorno esatto del quarto anniversario della legge salvacoste". Ha aggiunto un altro consigliere regionale del Pd, Silvio Lai: "Mancavano solo due articoli e non incidono sul livello di tutela del paesaggio, anzi possono solo incrementarlo. Ventiquattro consiglieri del centrosinistra hanno votato contro quattro parole di un emendamento. Il presidente sapeva che eravamo contrari e ha voluto forzare".

Le elezioni anticipate non sono, tuttavia, un'ipotesi peregrina. Ha detto il deputato dell'Italia dei valori Federico Palomba, colonnello di Antonio Di Pietro a Cagliari: "Vogliamo che questa volta ci sia accordo su tutto, sulla leadership, sulle candidature, sul programma", perché se voto anticipato sarà, meglio mettersi d'accordo - è la linea che va imponendosi - per celebrarlo il prima possibile e mettere in difficoltà un centrodestra altrettanto diviso che pare aggrapparsi, in queste ultime ore, al nome di Giuseppe Cossiga, figlio di padre celebre. Nel centrosinistra, dietro a Soru c'è il vuoto.

Accanto a lui, ma garantendo che la sua scelta non ha niente a che fare con quella del governatore, si è dimessa anche una consigliera regionale "fedelissima", Mariuccia Cocco, eletta nel listino del fondatore di Tiscali in quota Margherita. Motivazioni al veleno, quelle della Cocco: "Il Pd manca d'identità, non ha riferimenti culturali e non ci sono le condizioni per uno sviluppo armonico. Inoltre, la leadership di Veltroni forse non è adeguata al ruolo. Il Pd mi sembra un tritacarne, senza un'azione politica a livello nazionale. A livello regionale l'attività politica del partito è ancora svolta da capitribù, che fanno una vecchia politica. Nessuno ha cercato la coesione intera. L'obiettivo prevalente sembra quello di ricandidarsi".

martedì 25 novembre 2008

Strappo di Soru: «Mi dimetto»


da Repubblica.it

il presidente della Sardegna lascia per contrasti con il Pd sulla legge urbanistica regionale

CAGLIARI - Un vero e proprio colpo di scena. Il presidente della Regione Sardegna si è dimesso stasera dall'incarico con una comunicazione in Consiglio regionale che stava per approvare la nuova legge urbanistica.
Le dimissioni saranno formalizzate mercoledì con una lettera che sarà inviata al presidente dell'Assemblea sarda, Giacomo Spissu.

LA VICENDA - La situazione politica in Sardegna era diventata in serata molto tesa dopo che il Consiglio regionale aveva bocciato a scrutinio palese (con 55 contrari e solo 21 a favore) la prima parte di un emendamento fortemente voluto dallo stesso governatore a uno degli ultimi articoli della nuova legge urbanistica, argomento sul quale si erano registrate divisioni e forti contrasti nel gruppo del Pd. Non appena il presidente dell'Assemblea ha comunciato l'esito della votazione, Soru ha lasciato l'aula e si è chiuso con i più stretti collaboratori in un ufficio. Il clima è poi diventato «incandescente» quando alla ripresa momentanea dei lavori, l'assessore dell'Urbanistica al quale il presidente si era rivolto per chiedere il parere della giunta su un altro emendamento in discussione, ha spiegato di non ritenere di poter esprimere nessun parere perchè «il presidente sta assumendo delle decisioni».

IL DISCORSO - «E' un momento critico in cui tutti siamo chiamati a dare la nostra parte migliore. Ma pur nella consapevolezza di questo momento, credo sia la cosa migliore per i sardi chiarire subito lo stato della maggioranza cui hanno dato fiducia finora e come possa terminare la legislatura, in che modo e come affrontare il futuro. Per questo utilizzo questa comunicazione in Aula per annunciare le mie dimissioni». Con queste parole, intervenendo in Aula dopo che la Giunta era andata sotto su un emendamento di sintesi all'articolo 42 alla legge urbanistica, il presidente Soru ha annunciato la volonta di dimettersi, a fronte di un «dissenso forte», manifestatogli dalla sua maggioranza di centrosinistra. »Non è un dissenso solo sul merito della legge ma ancora più una mancanza di fiducia forte fra il presidente e la sua maggioranza«, ha spiegato Soru. «Ho riflettuto sul fatto di essere un presidente eletto direttamente dai sardi. Ma non si può governare senza una forte maggioranza in Consiglio regionale, tanto più che abbiamo davanti la discussione della finanziaria, l'ultima della legislatura. Mi sono riletto la legge statutaria e ho riflettuto su cosa sia più utile per la Sardegna e non più utile per me».
«Non sarà l'ultimo giorno della mia esperienza politica», ha sottolineato ancora Soru. «Voglio mantenere salda la mia chiarezza, i principi che hanno ispirato la mia esperienza fino ad adesso. Ho cercato di riflettere su cosa sia più utile per la Sardegna e i sardi, non per me. Pur nella consapevolezza del momento difficile nel mondo, in Italia e in Sardegna, credo che la cosa migliore per i sardi sia chiarire immediatamente lo stato della maggioranza alla quale hanno dato fiducia fino a oggi». Il presidente ha poi aggiunto che presenterà le dimissioni formalmente domani: saranno efficaci entro 30 giorni. Dal 21esimo al 30esimo giorno di questo periodo l'Assemblea sarda potrà discutere le dimissioni. Se non ci saranno ripensamenti del presidente, il Consiglio sarà sciolto e le prossime elezioni, già previste in primavera per la naturale scadenza della legislatura, dovranno tenersi entro sessanta giorni.

PD: RIANNODARE I FILI - Il Pd però spera ancora di portare a termine normalmente la legislatura convincendo Soru a ritirare le dimissioni. «Una notizia che ci preoccupa e che giunge in un momento delicato ed importante del governo riformista della giunta regionale. Lavoreremo nelle prossime ore per ricomporre il quadro politico e fare in modo che non si apra la strada della fine anticipata della legislatura» ha dichiarato Andrea Orlando, portavoce del Pd. «Lavoreremo - ha spiegato Orlando - per evitare la fine anticipata della legislatura e consentire di proseguire un'azione di trasformazione della Sardegna che riteniamo importante e decisiva».


25 novembre 2008