sabato 20 dicembre 2008

Per la difesa dei diritti e della dignità dei cittadini sardi detenuti




L’Associazione 5 Novembre “per i diritti civili” aderisce alla settima edizione della fiaccolata per i detenuti e per le loro famiglie “Stella di Natale del Buoncammino”, organizzata dal comitato spontaneo di cittadini e associazioni di volontariato. Condividiamo lo spirito della fiaccolata per la fraternità, l’accoglienza e la solidarietà. Pensiamo che il sistema dell’esecuzione penale in Sardegna viva un dramma sintetizzato dalle condizioni immorali e incostituzionali dei cittadini detenuti. II nostro impianto costituzionale è incentrato sul principio di eguaglianza e di legalità, ma le condizioni di vita nei luoghi di pena sardi rappresentano forme di illegale maltrattamento più volte sottolineato dai rapporti degli ispettori europei sulle carceri italiane. Al mondo della politica sarda chiediamo l’applicazione della legge e il rispetto dell’articolo 27 della costituzione.

Per l’applicazione del principio di territorialità della pena.
Sono numerosi i detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di giudizio, rinchiusi nelle carceri della penisola. La detenzione lontano dalla Sardegna crea pesanti disagi ai reclusi ed ai loro familiari, che per le visite e i colloqui impiegano diversi giorni di viaggio, con spese gravanti su situazioni economiche sempre molto difficili, e ripercussioni psicologiche per i limiti ai rapporti affettivi nei riguardi soprattutto di bambini e anziani. Chiediamo il rispetto della legge sull'ordinamento penitenziario e la concreta attuazione del protocollo d'intesa tra il Ministro della Giustizia e la Regione sul principio di territorialità delle pene. Il Ministero della Giustizia e la Regione devono rendere noto il numero esatto dei detenuti sardi, in esecuzione di pena o in attesa di giudizio, rinchiusi nelle carceri della penisola.


Per l’applicazione della Riforma Sanitaria, anche a Buoncammino.
Chiediamo l’immediata applicazione della riforma della sanità penitenziaria nella nostra Regione. Vogliamo il definitivo trasferimento delle funzioni di assistenza sanitaria in carcere dall’amministrazione penitenziaria al SSN. Pensiamo che il carcere debba rispettare il principio costituzionale della tutela alla salute, perché il cittadino detenuto non può avere una disparità di trattamento rispetto al cittadino libero.


Per l’istituzione del garante dei detenuti in Sardegna.
Chiediamo l’approvazione di una legge regionale che istituisca il garante regionale per i cittadini privati della libertà personale. Sentiamo la necessità di una figura terza, di garanzia e mediazione tra il carcere e il cittadino detenuto. Vogliamo un Garante che vigili e promuova i diritti delle persone private della libertà, anche di quelle sottoposte a misure alternative alla detenzione.


Basta con bambini in carcere, case-famiglia per le madri.
Nel carcere Buon Cammino di Cagliari è detenuta una bambina di 2 anni. La chiameremo Elisa. Elisa, insieme alla madre, resta chiusa in cella per 20 ore al giorno. Elisa, quando sente chiudere la porta della cella, piange e si dispera. Elisa, quando in carcere incontra qualcuno gli tende la mano per essere portata via da lì. Via dal quel posto vecchio e freddo. Via da quella cella buia, dove anche il sole fatica ad entrare. È da agosto che Elisa è detenuta. La madre di Elisa non ha un domicilio e non può quindi ottenere la misura alternativa per le detenute madri. Così Elisa resta in carcere e rischia di passarci il Natale. (da www.radiocarcere.com). Chiediamo di sostituire il carcere con case-famiglia al di fuori delle mura del penitenziario per le donne che non possono rinviare la pena. Pensiamo sia necessario affermare il diritto delle madri a rimanere accanto ai loro figli.

Associazione 5 Novembre “per i diritti civili”
http://associazione5novembre.blogspot.com/
associazionediritticivili@yahoo.it

giovedì 18 dicembre 2008


Partito della Rifondazione Comunista

al Collegio nazionale di garanzia

al Collegio regionale di garanzia sardo

Oggetto: richiesta di pronunciamento del Collegio di garanzia nazionale sulla convocazione cpr sardo.

In data 6 dicembre 2008 è stato convocato il Comitato politico regionale della Sardegna, durante lo svolgimento dello stesso si è deciso, a maggioranza, di procedere al suo proseguimento per il martedì 16 dicembre 2008. A chi richiedeva l’aggiornamento all’8 dic ( giornata festiva che avrebbe facilitato la partecipazione di chi ha impegni di lavoro), è stato risposto che così facendo non ci sarebbe stato il tempo per mandare la comunicazione dell’aggiornamento agli assenti.

Invece per l’aggiornamento nessuna comunicazione, neppure informale, è stata inviata alle Compagne e ai Compagni componenti il Cpr sardo.

Anche a voler intendere che i presenti alla prima riunione fossero debitamente informati del proseguimento della riunione, nessuna comunicazione che avvertisse perlomeno le Compagne ed i Compagni assenti ha dato loro la possibilità di essere informati della nuova data.

All'apertura della seconda riunione veniva fatto notare alla presidenza, composta dal Presidente del Comitato politico regionale , dal Segretario regionale e dal Presidente del Collegio regionale di garanzia, l'anomalia della convocazione medesima e l'assenza di Compagne e Compagni dovuta essenzialmente al non aver avuto nessuna notizia sull’aggiornamento.

Altresì veniva richiesto che durante la riunione non si assumessero decisioni formali che potessero essere in seguito inficiate .

Il Presidente del Cpr , senza alcuna consultazione del Presidente del Collegio di Garanzia, ha risposto che nessuna comunicazione era dovuta , neppure alle Compagne ed i Compagni assenti alla prima riunione, e che comunque la riunione si intendeva perfettamente regolare data anche la presenza del numero legale in sala. Tanto è vero che le votazioni finali su documento ed elezione della segreteria regionale hanno ottenuto 37 voti su 70 componenti del Cpr.

Si chiede, pertanto, al Collegio nazionale di garanzia di volersi esprimere sulla regolarità della convocazione di detto Cpr e pertanto delle deliberazioni assunte.

v.pillai, g.fresu, g.ibba. m.piredda, g.stocchino, v.macrì
Cagliari 18 dicembre 2008

Sintesi intervento di Vincenzo Pillai al cpn del 13 dicembre


Non siamo all’altezza delle difficoltà che il precipitare della crisi economica e sociale ci pone :non solo perché l’azione di logoramento svolta dalla minoranza rende difficile mobilitare il partito nel suo complesso sulle scadenze di lotta che vengono decise ma, soprattutto, perché in questi anni ,quasi tutti noi, abbiamo lavorato pensando che si potesse andare avanti da una elezione all’altra e non ostacolando, quindi,adeguatamente quel processo di istituzionalizzazione del Partito che oggi appesantisce e tende a vanificare la scelta strategica del partito sociale che riparte dal basso a sinistra.

Non c’è bisogno di essere contro la partecipazione del partito alle elezioni per rendersi conto che abbiamo contribuito a creare un ceto che si sta progressivamente autonomizzando, fino a fenomeni estremi, per cui chi è nelle istituzioni crea veri e propri feudi che lavorano solo per riprodurre il potere del consigliere o dell’assessore. In Sardegna, della cui situazione parlerà dopo un altro compagno, vi sono esempi emblematici.

Abbiamo trascurato quella cura del Partito che parte dalla valorizzazione del militante presente nei movimenti , dall’azione di formazione del dirigente attraverso il suo percorso nel luogo di lavoro, nell’esperienza personale dello scontro di classe e della militanza sindacale. Recuperare su questo terreno sarà faticosissimo e il giornale,senza nulla togliere all’autonomo contributo che ogni giornalista può liberamente dare, attraverso il suo lavoro , ad individuare i punti critici della nostra scelta strategica, deve divenire uno strumento di informazione e formazione; in vista di momenti nei quali non è detto che il precipitare del ceto medio verso l’ indigenza faciliti necessariamente una svolta politica a sinistra; non vedo le condizioni culturali di massa e non c’è ancora un partito attrezzato per contrastare prevedibili livelli di populismo fin’ora sconosciuti ai nostri militanti e le azioni dei tanti strumenti, legali e non , di cui possono disporre gli apparati dello Stato.

La riuscita delle manifestazioni di questi mesi, anche a Cagliari, non deve illuderci sul ruolo positivo che in questo momento sta svolgendo la CGIL, perché restano alla sua guida gli stessi che hanno contribuito a disarmare, culturalmente e materialmente, il movimento in presenza del processo di precarizzazione operaia e parcellizzazione sociale, per cui diventa fondamentale e urgente lavorare per una piattaforma condivisa dal quadro militante che è sceso in campo anche se , per ora , sotto sigle diverse.

Comitato Politico Nazionale PRC, 13-14 dicembre 2008. Sintesi dell'intervento di Gianni Fresu


Il quadro politico che emerge dalla crisi del Governo Soru mostra dei tratti di rilievo non solo regionale. La prima considerazione riguarda l’inservibilità politica del PD, artefice principale della crisi. A conferma ulteriore di quanto fosse avventata l’idea della “costituente della sinistra” che puntava tutte le chanches di un nostro rilancio sul rapporto organico con il partito di Veltroni. È paradossale ma il PD, che al momento della sua costituzione è stato presentato come soggetto votato alla stabilizzazione del quadro politico, si è rivelato in tutti i passaggi fondamentali la principale fonte di destabilizzazione e paralisi della maggioranza. Tenendo conto dell’accusa a suo tempo rivolta a Rifondazione (l’inaffidabilità governativa) da DS e Margherita verrebbe da spiegare tutto con la categoria della nemesi. Il PD in Sardegna, ma credo che il discorso valga a livello nazionale, è strutturato come le camarille liberali dell’Ottocento. Non si tratta di un soggetto politico dotato di una sua identità organica e definita ma di un agglomerato composto da consorterie condensate attorno a singole personalità che controllano partito, istituzioni e collegi senza alcun disegno complessivo. A fine Ottocento la dissoluzione del liberalismo italiano portò al tentativo di assemblaggio dei due raggruppamenti tradizionali della Destra storica e della Sinistra liberale per formare un unico «blocco costituzionale» presentato come baluardo contro le due ali estreme della reazione e della rivoluzione. Oggi come allora più che di “trasformazione del sistema politico” si deve parlare molto più prosaicamente di «trasformismo» e il divampare in tutta la sua virulenza della questione morale ne è una conferma. Sia chiaro che neanche Soru, per quanto possiamo rilevare gli aspetti enormemente positivi di questa legislatura, si sottrae a tale dinamica ma è parte in causa. Così, a mio avviso, la vera natura della crisi sta tutta nella lotta senza esclusioni di colpi per la leadership nel PD e nella coalizione di centro sinistra. Detto in altri termini, ci troviamo di fronte ad una crisi pilotata per tagliare gordianamente i nodi non risolti, che scarica irresponsabilmente sulle classi sarde più disagiate il fardello della decomposizione del PD. La crisi è stata decisa proprio quando doveva essere votata la manovra finanziaria, a cui è stata anteposta la legge urbanistica, con il risultato di andare ad elezioni in un periodo di recessione e con la desertificazione industriale in atto (proprio in queste settimane viene chiuso quel che resta dell’industria petrolchimica sarda), condannando l’isola ad un indefinito periodo tempestoso governato con l’esercizio provvisorio. Il nostro Partito si è semplicemente accodato, dopo aver concordato l’intesa futura con il Presidente della Regione non su un accordo programmatico ma su un semplice rapporto fiduciario personale. Su queste basi sarà difficile costruire qualcosa di solido e progressivo, imporre una svolta sul versante delle politiche attive del lavoro e su quelle dell’assetto industriale, deficitarie anche in questa legislatura.

A Cagliari e a Gradisca - Le rivolte degli "ospiti" detenuti


Mercoledì 17 dicembre 2008
da Globalproject.info

La situazione è esplosiva anche e soprattutto per i richiedenti asilo. A gestire le strutture è sempre Connecting People. Sembra ormai trascorso molto tempo da quando l’allora Governo di centro-sinistra guidato dal presidente Prodi aveva giocato la carta dell’umanizzazione dei centri di detenzione. Operazione fallita, questo era logico: la realtà ci racconta di polveriere che ovunque si apprestano ad esplodere e spesso ciò che non è raccontato, è una verità quotidiana di rivolte, tentativi di fuga, insofferenze. Negli ultimi giorni a Gradisca d’Isonzo (Gorizia) e ad Elmas (Cagliari), si sono susseguiti tentativi di fuga a rivolte e manifestazioni di protesta.

Se la realtà di chi è detenuto nelle strutture, o nelle parti dei centri (come a Gradisca), destinate alla Permanenza Temporanea in attesa di espulsione, ora chiamati CIE, è da sempre drammatica, con gli episodi degli ultimi giorni viene a galla una seconda realtà, da sempre denunciata, ma molto spesso dimenticata: quella dei richiedenti asilo. I cosidetti centri di prima accoglienza diventano così delle vere e proprie prigioni. La struttura di Gradisca ha messo a disposizione 250 posti proprio per l’identificazione e "l’accoglienza" dei richiedenti, quella di Elmas è totalmente dedicata agli aspiranti rifugiati. Ad accomunarne le sorti la comune gestione di Connecting People, "impresa socialmente orientata".

I richiedenti asilo, anche grazie alle nuove norme approvate con il Decreto legislativo n. 159 del 3 ottobre 2008, entrato in vigore il 5 novembre scorso, possono essere soggetti alla restrizione della libertà di circolazione. Inoltre, il macchinoso iter per la risoluzione della domanda, fatto di valutazioni, ricorsi e permessi temporanei che si propongono come anti-cametra all’irregolarità, si traduce in tempi di attesa per la risposta che superano ormai abbondantemente i sei mesi, creando situazioni di semi-detenzione, se non di totale di restrizione della libertà, insopportabili.

Ma non è tutto. La Connecting People, a garanzia del "tutto esaurito" (per ogni migrante "ospitato" riceve un lauto compenso), ha saputo mettere in campo un vero e proprio canale preferenziale tra le coste dove avvengono gli sbarchi e le strutture che gestisce. Lampedusa e Gradisca sono al lato opposto della penisola ma Connecting People, ora si è scoperto il motivo della scelta del nome, ha saputo accorciare le distanze con ponti aerei senza precedenti che dalla Sicilia portano i richiedenti asilo a presentare domanda per lo status di rifugiati proprio nel Friuli.

Sulla situazione delle due strutture proponiamo l’intervista a Roberto Loddo (Associazione 5 novembre per i diritti civili di Cagliari) e Cristian Massimo (Associazione Razzismo Stop FVG) e alcuni approfondimenti.

Cpa di Elmas - La denuncia delle associazioni: il centro è una prigione
Intervista a Roberto Loddo, Associazione 5 novembre per i diritti civili
L’inferno di Elmas in Sardegna, il Cpt della rabbia di Costantino Cossu
Protesta rifugiati davanti prefettura Cagliari Fonte: Sardegna Oggi 09.12.08

Cpt di Gradisca - Tra disordini, fughe e speculazione dei gestori
Intervista a Cristian Massimo dell’Associazione Razzismo Stop
Cpt di Gradisca - Una rivolta nel Cie non pacificato Fonte: Meltingpot.org 09.12.08
Accoglienza e detenzione: le due facce del cpt di Gradisca di Gabriele Del Grande
Gradisca. Cpt, la gestione a Connecting people

mercoledì 17 dicembre 2008

Occupazione delle fabbriche, nazionalizzazione delle banche...la svolta a sinistra di Rifondazione!


di Mauro Piredda
dal Blog dei gc di Sassari

Nel volantino che abbiamo distribuito come Giovani Comunisti e circolo studentesco Majakovskij il 4 dicembre scorso, in occasione dello sciopero di Porto Torres contro la chiusura del petrolchimico, abbiamo messo alcuni punti che saranno nel prossimo periodo colonne portanti per l'uscita a sinistra dalla crisi del capitalismo.

Con la nostra modestia e con la nostra umiltà, vogliamo proporre, come estrema lotta e come unica forma di garanzia contro la desertificazione industriale, l’occupazione degli impianti prima che siano i padroni a chiuderli" con l'inevitabile sbocco della nazionalizzazione sotto il controllo dei lavoratori. Rivendicazione da estendere a tutti quei settori privatizzati negli ultimi 20 anni.

"Con tali risorse in mano e con un sistema di banche pubbliche sarebbe possibile sviluppare grandi piani di intervento su assi centrali quali: edilizia pubblica, sistema energetico, trasporto pubblico locale e nazionale, servizi pubblici essenziali, telecomunicazioni in modo da garantire la piena occupazione".

In quella manifestazione abbiamo portato queste rivendicazioni, con molta umiltà, dopo essere andati più volte ai cancelli del petrolchimico: per esprimere la nostra solidarietà, per rivendicare l'unità studenti-lavoratori, per l'inchiesta lampo sui lavoratori e la crisi. Proposte forti, certo; l'alternativa?

Oggi queste rivendicazioni le troviamo nel documento finale del Comitato politico nazionale di Rifondazione. Ed è un segnale chiaro della svolta a sinistra che inizia a prendere corpo.

"La difesa del reddito di chi perde il lavoro è per noi legata indissolubilmente alla difesa dell’occupazione e di tutti i posti di lavoro minacciati dalla crisi. Aderiamo pertanto all’idea proposta dal segretario della Fiom del blocco dei licenziamenti. Tale rivendicazione va sviluppata in tutte le sue implicazioni, dalla proposta della riduzione dell’orario di lavoro come strumento per mantenere l’integrità della forza lavoro distribuendo il lavoro disponibile, fino alle sue conseguenze più radicali, ossia la difesa attraverso la mobilitazione e l’occupazione di quelle aziende che minacciano chiusura, licenziamenti, delocalizzazioni, smantellamento di interi settori".

In diversi angoli del mondo questa forma di lotta è portata avanti dai lavoratori più avanzati (e Marx diceva che non è la coscienza degli uomini a determinare la loro condizione sociale, ma è la loro condizione sociale a determinarne la coscienza) in lotta per la difesa del posto di lavoro: Argentina, Venezuela, Brasile, ma anche Stati Uniti d'America come dimostra il caso della Republic Doors & Windows di Chicago (una cosa che non si vedeva dagli anni '30). In alcuni casi delle aziende, e interi settori, sono stati nazionalizzati con i lavoratori che hanno condotto tale lotta nello stesso tempo che producevano sotto controllo operaio!

Ma chi produce sotto il controllo operaio ha dei problemi non di poco conto: l'approvvigionamento delle materie prime, la questione del credito e la commercializzazione. Problemi che richiedono risposte di sistema poichè il controllo pubblico sulla produzione si deve estendere alle altre fabbriche, la distribuzione deve essere funzionale agli interessi della società e le banche...devono essere pubbliche, nazionalizzate anch'esse!

Dal documento: "Proponiamo la nazionalizzazione della banche di interesse nazionale al fine di una gestione del credito svincolata dalla ricerca della redditività a breve e finalizzata alla riconversione ambientale della produzione". Anche perchè...come facciamo a riconvertire ambientalmente lo stabilimento di Porto Torres, ad esempio, se l'azienda rimane funzionale al profitto di pochi e se non vi è un sistema del credito all'altezza?

Due cose. La prima è che non è sufficiente parlare di nazionalizzazione delle banche: Northern Rock in Inghilterra e Fortis in Belgio sono state nazionalizzate; ma si tratta nella sostanza di un afflusso di capitali pubblici nelle banche senza che questo implichi la partecipazione dello Stato ai consigli di amministrazione, né un reale controllo che possa essere esercitato. Il controllo pubblico deve essere il prossimo e imminente argomento da sviscerare per approfondire la questione.

La seconda è che le rivendicazioni immediate e la prospettiva generale, per dare una risposta di sinistra alla crisi, devono essere interconnesse con un paziente lavoro politico-programmatico e teorico che coivolga tutti i livelli del partito e di intervento nei luoghi del conflitto.

lunedì 15 dicembre 2008

L’inferno di Elmas in Sardegna, il Cpt della rabbia

di Costantino Cossu
Il Manifesto 11 dicembre 2008

Lo chiamano centro di accoglienza, ma è peggio di una prigione. Chiuso nella zona militare dell’aeroporto, circondato da filo spinato e militari armati, il centro è sovraffollato. All’interno sbarre e il rischio costante di rivolte

Si chiama Ilyes Fanit.
Poco meno di tre mesi fa, la mattina del 25 settembre, è stato messo su aereo che lo ha riportato a casa, in Algeria. Il giorno prima, il 24, davanti a una macchinetta automatica del caffé del centro di prima accoglienza di Elmas, aveva preso a spintoni un poliziotto, dato testate contro la porta dell’infermeria e poi dell’ufficio della polizia scientifica. Le due porte sono state quasi sfondate, Ilyes s’è fatto parecchi lividi. In questura, in cella in attesa del rito direttissimo, ha trovato il modo di ferirsi all’addome. Ha 21 anni, Ilyes, ed è stato condannato a 6 mesi di reclusione con la sospensione condizionale della pena.

Reati contestati: resistenza e violenza a pubblico ufficiale e danneggiamento aggravato. Nella notte tra mercoledì 17 e giovedì 18 settembre c’era anche lui tra gli ottantasette algerini che hanno distrutto mensa, telecamere, porte e uffici del centro in una rivolta improvvisa e violenta. Secondo la questura di Cagliari, la scintilla è scoppiata dopo un battibecco con gli ospiti somali del Cpa: loro liberi di entrare e uscire perché hanno chiesto asilo politico. Clandestini irregolari in attesa di trasferimento nei centri della penisola e «asilanti» s’incontrano solo alla mensa e sempre sotto l’occhio del personale di sorveglianza. La notte della rivolta alcuni somali erano rientrati più tardi e avevano trovato gli algerini in mensa (dopo il tramonto per via del digiuno religioso).


Gli ultimi due piani del centro sono stati devastati. Sono volate le porte, le finestre, sono stati divelti i sanitari, distrutte le telecamere del controllo a circuito chiuso. Gli scontri sono durati sino all’alba e nessun osservatore esterno ha potuto verificare come siano andate realmente le cose. Pochi giorni dopo, Ilyes non ha litigato con i somali. Si è infuriato quando un poliziotto, vedendolo al centro della sala, gli ha detto di andare nella parte riservata ai clandestini irregolari. Ma le cause vere della rivolta sono altre. Il Cpa è sovraffollato e viverci è un inferno.

Il centro di Elmas è stato aperto nel giugno di quest’anno. Serve principalmente a raccogliere i migranti che sempre più numerosi approdano su barche di fortuna sulle coste meridionali della Sardegna. Arrivano soprattutto dall’Algeria. Nel 2007 ne sono sbarcati circa 1800. Per quest’anno non ci sono ancora cifre definitive, ma pare che gli arrivi siano più o meno duemila. La gestione del Cpa è stata affidata a Connecting People tramite il Consorzio Solidarietà di Cagliari, che deve garantire i pasti, le pulizie, l’assistenza sanitaria, la presenza di mediatori culturali. Per la sorveglianza sono impiegati venti poliziotti e altrettanti carabinieri. Dopo la rivolta sono arrivati anche i fanti della Brigata Sassari, truppe scelte già impiegate in Iraq e in Afghanistan.
Le condizioni di vita di chi sta dentro il centro non sono molto diverse da quelle di un carcere. In più molti dei reclusi sono in attesa di capire se avranno diritto all’asilo politico o se saranno costretti al rimpatrio. «Il problema vero - dicono i militanti del Comitato antirazzista nato a Cagliati per difendere i diritti civili dei migranti - è l’aumento dei tempi di permanenza nei centri di identificazione, dovuto alla nuova normativa per gli rifugiato o di protezione umanitaria. Non sapevano dove andare. Pochi quelli che parlavano l’inglese o l’italiano e nessuno conosceva la Sardegna. Sinora solo una comunità francescana ha offerto venti posti letto, largamente insufficienti per il bisogno che cresce».

«Sono - aggiunge Petra - cittadini somali che fuggono da una situazione di guerra di fatto, che vede gran parte del territorio controllata dalle corti islamiche. Oppure eritrei oppositori di un regime che ha assunto i tratti di una dittatura sanguinaria. Tra di loro diversi intellettuali: scrittori, giornalisti, poeti». Gente che non è sbarcata direttamente sulle coste della Sardegna. Per fuggire hanno affrontato un viaggio agghiacciante. A piedi attraverso il deserto del Sudan settentrionale per raggiungere la Libia, la lotta disperata contro la fame, la sete e la fatica, i compagni di viaggio che non ce l’hanno fatta abbandonati, cadaveri, sulla sabbia. Dopo un un periodo non facile trascorso in Libia, in un campo profughi, la traversata via mare su barche scassate sino a Lampedusa. Qui, prima schedati come clandestini e poi smistati ad Elmas, in attesa che la domanda di asilo fosse esaminata. Quando la questura di Cagliari ha aperto i cancelli del centro ai cronisti per fare un po’ di pubbliche relazioni, i fuggiaschi hanno raccontato le loro storie. Alcuni hanno pagato mille e cinquecento dollari per attraversare il deserto e raggiungere Lampedusa, viaggiando per quasi cinque mesi e lasciando la famiglia in patria, con la speranza di trovare in Italia scampo alle persecuzioni e un lavoro. Altri hanno speso duecento dollari per un passaggio in auto dalla Somalia alla Libia, per poi affrontare la traversata fino a Lampedusa con altre centinaia in fuga dalla guerra o dalla povertà.

Tutti, davanti ai taccuini dei giornalisti, hanno parlato dell’Italia come di un Paese di pace, accogliente, dove realizzare il sogno di studiare, lavorare, vivere liberi e sicuri. Erano le prime settimane di permanenza nel centro. Poi le cose sono cambiate. Oggi il futuro fa solo paura.

domenica 14 dicembre 2008

Relazione di Paolo Ferrero al Cpn del 13 dicembre 2008


Care compagne e cari compagni,
Dopo il congresso, questa è la prima occasione di confronto a tutto tondo. Io cercherò di affrontarla nella maniera più schematica possibile, dando per letti e acquisiti dalle compagne e dai compagni l'insieme degli atti della recente direzione e che sono stati pubblicati su Liberazione.

1. Il contesto della crisi è quello decisivo
E' esplosa una crisi dell'economia capitalista globalizzata di carattere strutturale. Il mondo ha attraversato un ciclo liberista di lungo periodo. La rivoluzione restauratrice prodotta da questo ciclo ha sconfitto a livello mondiale il movimento operaio e le istanze di rinnovamento e ha destrutturato i diritti del lavoro e il welfare. Si è raddoppiato "l'esercito salariato di riserva", si sono prodotti effetti devastanti nella direzione di salari sempre più bassi e di incremento della precarietà. In realtà, invece, si dimostra come bassi salari e precarietà siano l'origine profonda di questa crisi. La speculazione finanziaria ha avuto l'effetto di farla esplodere ma non di causarla. E non si intravede, dentro il contesto delle economie attuali, una nuova locomotiva che traini la ripresa.
La tesi che intendo avanzare è, pertanto, la seguente: noi dobbiamo cogliere la crisi come "luogo storico", come crisi costituente, in cui si rompono gli equilibri esistenti. Dentro la valanga della crisi, nulla rimarrà come prima. Basta vedere cosa sta accadendo nel nostro apparato industriale: un milione di posti di lavoro in meno, precarietà portata ancora di più all'estremo, insicurezza che diviene condizione generale di esistenza per milioni di persone.
Il punto centrale che sottopongo alla discussione è che per una forza della trasformazione, quale la nostra, il no alla crisi non basta, occorre la capacità di un salto di qualità, di saper proporre un progetto alternativo. Da questa crisi, se ne esce o a destra o a sinistra (l'unica cosa esclusa è il poterne uscire al centro).
Non siamo, come Rifondazione comunista, solo gli eredi della sconfitta degli anni 80 e 90. Noi dobbiamo avere la capacità di ricollocare la nostra iniziativa dentro la novità della crisi strutturale del capitalismo globalizzato.
Il governo sembra cogliere bene questa situazione, dal suo punto di vista. La sua iniziativa, infatti, si propone di intervenire dentro la crisi, cercando di utilizzarla ai fini di una ristrutturazione in senso autoritario, attraverso l'uso regressivo dell'intervento pubblico. Nelle misure proposte, il governo, infatti, interviene per salvare le banche e i grandi interessi ma senza mettere in discussione il modo di funzionare di tali istituti, ripropone le grandi opere connesse a quegli interessi, non da nulla sul versante del lavoro e delle pensioni, opera una politica di tagli al welfare, interviene con misure di elemosina caritatevole, proponendo se stesso come "nuovo sovrano" che si rapporta direttamente ad alcune fasce di povertà, una relazione diretta tra il potere centrale e i soggetti atomizzati e senza rappresentanza.
Insomma, l'ipotesi dell'uscita da destra dalla crisi è molto forte. La sfida che dobbiamo essere in grado di portare avanti è assai difficile. Ma questa deve essere la nostra ambizione: proporre una alternativa, una uscita da sinistra.

2. La ripresa dei movimenti
Abbiamo scommesso sulla ripresa dei movimenti. Non tutti, a dire il vero. Anche nel nostro congresso, c'è stata una posizione che, proprio partendo da una valutazione negativa su questo, pensava alla necessità di una supplenza politica dall'alto e ha contrastato l'ipotesi politica di ripartire dalla società e dal basso.
Penso che dovremmo approfondire l'analisi sul movimento della scuola. Esso esprime una fortissima politicità, a partire dalla capacità di aver saputo unificare un fronte che si è spesso frantumato (i docenti, gli studenti, il personale tecnico, i genitori delle scuole elementari). La politicità che il movimento ha espresso è data sia dalle indicazioni generali che ha posto ("noi non paghiamo la vostra crisi") sia dalla capacità di saper proporre una piattaforma complessiva che esprime una idea della conoscenza come bene comune. E' proprio questa politicità (non il suo contrario) che permette al movimento di autorappresentarsi e non delegare alla politica come oggi è.
L'altro elemento fondamentale è la collocazione di autonomia che la Cgil è andata assumendo sia in rapporto al governo che alla Confindustria. La scelta dello sciopero generale è stata importantissima. Non dobbiamo sottovalutare quanto avvenuto: il successo dello sciopero generale della Cgil e dei sindacati di base non era scontato. Su questo percorso, dobbiamo investire con determinazione. Dobbiamo lavorare per consolidarlo anche perché è chiaro che la Cgil ha conquistato una autonomia ma ancora non ha elaborato una piattaforma complessiva alternativa alla concertazione. E' del tutto evidente, infatti, come la collocazione attuale della Cgil contribuisca all'ossatura dei movimenti, alla loro massa critica, a mettere in relazione i soggetti. Anche da questo punto di vista, la crescita dei movimenti è decisiva perché esprimono l'esigenza di una fuoriuscita dalla logica della concertazione.
Questa è la divaricazione che indica anche il crocevia di fronte alla crisi: il governo e la confindustria propongono un'uscita da destra e i movimenti indicano la possibilità di una uscita da sinistra.

3. La contraddizione del Pd
Il Pd non è stato in grado di aderire allo sciopero generale perché non è autonomo dalla Confindustria. Possiamo sostanzialmente dire che tra governo e movimento, il Pd ha una posizione terzoforzista. Può trarre un successo solo nella misura in cui i movimenti vengano sconfitti nella loro capacità di porsi autonomamente nei confronti del governo e, quindi, vengano ricacciati in una logica lobbista.
La nostra autonomia dal Pd, quindi, semmai va accresciuta e proprio il tema della relazione con i movimenti segna la differenza strategica tra il nostro progetto e quello del Pd. Vorrei sottolineare come sia un errore madornale affidarsi alle divisioni interne al Pd . La divisione nel Pd non incrocia nemmeno minimamente il tema dell'autonomia e della dinamica dei movimenti.

4. La proposta del coordinamento della sinistra
Noi abbiamo avanzato la proposta del coordinamento delle forze della sinistra. Su questa proposta, vogliamo rapidamente stringere con tutti coloro che sono disponibili. Vorrei precisare la differenza tra questa proposta e quella del coordinamento delle opposizioni. Naturalmente, ovunque possibile, non siamo ostili ad iniziative comuni con le altre opposizioni non di sinistra. Il punto è che con il Pd e Italia dei Valori manca la concordanza su temi decisivi e che riguardano la lotta alla precarietà, i diritti del lavoro, la redistribuzione del reddito, la politica ambientale, l'intervento pubblico e così via.
Penso che a sinistra, occorrerebbe uscire dalla schizofrenia: o partito unico o il deserto. Penso, invece, che occorra riconoscere le differenze politiche che ci sono e, al tempo stesso, valorizzare le convergenze programmatiche che sono possibili, partendo da esse, per proporre una azione comune che possa favorire l'ulteriore crescita dei movimenti.

5. Per l'uscita a sinistra dalla crisi
Quali sono i punti forti di una proposta complessiva che intervenga, dentro la crisi, per proporre una fuoriuscita da sinistra dalla crisi globale?
Propongo una schematizzazione di questo intervento, così articolato nei suoi tratti essenziali:
- la crisi è strutturale e frutto delle politiche neoliberiste (non solo dei suoi eccessi speculativi): bassi salari e precarietà sono cause fondanti la crisi che attraversiamo. Senza affrontare questi nodi non si affrontano le cause della crisi.
- Conseguenza di questo è che dalla crisi non si esce con i sacrifici (ovvero con meno salari e più precarietà). Così la crisi si aggrava. Ridistribuire il reddito a vantaggio del lavoro dipendente e delle pensioni aiuta la soluzione della crisi.
- Ridistribuire il reddito si può, partendo da misure molto semplici: reintrodurre la tassa di successione, introdurre la tassazione delle rendite finanziarie, dei grandi patrimoni immobiliari, la tobin tax, intervenire sui paradisi fiscali, ridurre le spese militari.
Qual è l'obiettivo di fondo che dobbiamo lanciare con le risorse che si producono in questo modo?
Occorre garantire a tutti i lavoratori, a prescindere dalla dimensione produttiva e dalla forma contrattuale che si possiede, il diritto agli ammortizzatori sociali. Insomma, di fronte alla perdita del lavoro, va data la garanzia del reddito a tutti. Connessa a questa, il salario sociale per chi il lavoro non ce l'ha.
A questo, naturalmente, vanno accompagnate misure sulla riduzione della tassazione sul lavoro, la restituzione del fiscal drag, ecc.
In secondo luogo, dalla crisi non si esce con il medesimo modello economico e di sviluppo. E' necessario un intervento generale per la riconversione ecologica dell'apparato produttivo e dell'economia.
E' in questa prospettiva (cioè la risposta alla crisi) che dobbiamo proporre il tema decisivo del controllo pubblico del credito, ovvero la nazionalizzazione dei grandi istituti. Insomma, senza un progetto e strumenti concreti, come il controllo pubblico del credito, un obiettivo di tale forza strategica non è proponibile. Il governo, al contrario, interviene per socializzare le perdite e privatizzare i guadagni.
Altro punto da porre con forza riguarda il diritto dei lavoratori di riappropriarsi del Tfr, a partire dal diritto di poter ritornare indietro rispetto alla scelta fatta (o alla non scelta, funzionando il cosiddetto metodo del silenzio assenso).
Su questa impostazione generale, è necessaria una offensiva anche di carattere culturale. Occorre affermare con grande nettezza che chiedere maggiori diritti e più salario non è un atto egoistico, di cui vergognarsi perché c'è la crisi. E' il contrario: è la condizione essenziale per risolvere la crisi. Gli aumenti fanno bene al Paese e all'economia. Altrimenti, c'è il rischio che ognuno lotti quando è toccato personalmente dalla crisi ma poi sia ancora vittima dell'ideologia dei sacrifici e dell'egemonia culturale del neoliberismo.

6. Riconvertire l'iniziativa del Prc
Un salto è necessario nella nostra iniziativa. La nostra collocazione deve essere la seguente: stare nella crisi per impedire la guerra tra i poveri, costruendo il conflitto. In questa prospettiva, occorre fare attenzione anche al modo di intendere il rapporto con le istituzioni, anche quelle locali. Non dobbiamo essere, o essere vissuti, come i difensori delle istituzioni, quelli che si mettono in mezzo tra queste e i movimenti. Al contrario, anche la postazione nelle istituzioni, vanno utilizzate al fine della crescita dei movimenti.
In questa prospettiva, vanno ulteriormente rilanciate le attività di mutualismo. Su questo, si è svolta una polemica che ritengo vada superata. Certamente, distribuire il pane a un euro al chilo non esaurisce la nostra iniziativa, anche dentro la dimensione del mutualismo. Ma, diviene un fato importante se è dentro il recupero della politicità del mutualismo, che è stata componente fondamentale della crescita del movimento operaio. L'obiettivo deve essere uno spostamento rispetto a come siamo percepiti oggi, dentro la crisi della politica.
Sugli enti locali, dobbiamo avere una riflessione approfondita. Vorrei sottolineare l'importanza della tornata della prossima primavera e della necessità di affrontarla con un profilo politico preciso e unitario. Va effettuata una attenta verifica delle alleanze, rifiutare accordi con l'Udc e, anche dentro quello che si può definire il vecchio centro sinistra, va richiesta e ottenuta una qualificazione programmatica e un rigore sulla questione morale che non lasci ombre e segni una discontinuità netta con la pratica politica prevalente dentro il sistema politico attuale. Siamo per investire con determinazione per una apertura delle liste alla società e ai movimenti (pensiamo a proporre un'apertura del 50% delle liste ai non iscritti). Al contempo, affermiamo l'esigenza di presentare liste del Prc, con il nostro nome e simbolo perché quella della rifondazione comunista è la nostra prospettiva.

7. Liberazione e la comunicazione.
La direzione ha chiesto la predisposizione di un piano di risanamento e di rilancio del giornale con l'obiettivo del pareggio di bilancio per il 2009. Il deficit del giornale, come è del tutto evidente, è oggettivamente incompatibile con la sopravvivenza del partito.
Oggi dobbiamo svolgere una discussione di carattere politico sull'indirizzo del giornale. Io non credo che la questione da affrontare sia quella dell'autonomia del giornale ma il fatto che oggi Liberazione risponda ad un altro progetto politico, che è quello del superamento del Prc. E' questo il problema che riscontro al giornale.
Vorrei proporre anche l'assunzione di una iniziativa editoriale nuova: la promozione di una rivista del Prc, come spazio pubblico comune di riflessione e confronto, utile per proporre analisi e inchiesta e anche per favorire una circolarità del nostro dibattito e di quello dentro a tutta la sinistra.
Dobbiamo, infine, avviare una discussione più approfondita sulle forme di comunicazione. Occorre protestare e manifestare contro la censura del servizio pubblico ma occorre anche affrontare il problema di come noi parliamo al Paese e ripensare le forme con cui comunichiamo con l'esterno, da internet al sistema radiotelevisivo.

http://home.rifondazione.it/xisttest/content/view/4099/314/