giovedì 16 ottobre 2008

Contro la Legge 133



La legge 133 del 6 agosto 2008 (ex decreto-legge 112), all’interno di una più larga manovra finanziaria, prevede importanti novità per ciò che concerne l’istruzione pubblica a ogni livello e in ogni sua sfaccettatura.

Gli articoli della L.133 che interessano in maniera particolare il mondo universitario sono tre, e qui si cercherà di offrire una breve sintesi dei punti secondo noi critici.

· Art. 16 – “Facoltà di trasformazione in fondazione delle università”

E’ previsto che le università pubbliche possano trasformarsi in fondazioni di diritto privato, mettendo in evidente pericolo l’autonomia degli atenei e la sopravvivenza della ricerca di base in quegli ambiti che poco interessano il mercato economico.

Inoltre, le fondazioni universitarie subentrano nei rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell’università a costo zero.

· Art. 49 – “Lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni”

Si vieta alle università di ricorrere allo stesso lavoratore con più tipologie contrattuali per un periodo superiore ai tre anni nell’arco dell’ultimo quinquennio, che, considerando la palese intenzione di voler bloccare la procedura di stabilizzazione delle posizioni precarie (come prevede il ddl 1441), rende ancora più difficoltoso un ingresso stabile dei giovani negli ambienti universitari di ricerca.

· Art. 66 – “Turn over”

Viene imposto per il periodo 2009-2013 un blocco del turn over al 20%, prevedendo dunque una assunzione a tempo indeterminato ogni cinque cessazioni di rapporto lavorativo (pensionamenti, licenziamenti, etc.).

Inoltre, per il medesimo periodo è previsto un progressivo taglio del fondo ordinario degli atenei per un totale di 1,5 miliardi di euro con ovvie conseguenze sulle già disastrate casse delle università italiane.

L’università pubblica e la ricerca versano già da tempo in condizioni critiche, con una qualità della formazione in calo e finanziamenti ai progetti di ricerca sempre più risicati.

Questi ultimi provvedimenti non fanno altro che peggiorare una situazione di cui presto tutte le categorie sociali (studenti e non) pagheranno le conseguenze.

L.S.D.
14/10/08

Per info e contatti:

lsdunica@autistici.org

RIPRENDIAMOCI LE UNIVERSITA'!


L'opposizione ai tagli del governo Berlusconi si sta facendo sentire in tutto il territorio, forte e chiara. Le nostre proposte scarica il volantino

Fabio de Nardis, Resp. Nazionale Università e Ricerca Prc-Se


Le mobilitazioni contro il progetto di dismissione dell’Università pubblica portato avanti dal Governo Berlusconi proseguono senza sosta facendo registrare giorno dopo giorno salti di qualità sul piano quantitativo e qualitativo. Studenti, docenti, ricercatori, tecnici e amministrativi unitariamente dicono no allo svuotamento della struttura pubblica dell’alta formazione.
Da Nord a Sud in quasi tutti gli Atenei italiani si svolgono cortei spontanei, occupazioni simboliche di Facoltà e Rettorati, presidi democratici. I lavoratori della conoscenza sono in fermento e gli universitari si uniscono alle lotte gloriose di genitori, docenti e studenti del mondo della scuola pubblica anch’essa soggetta a un attacco vergognoso da parte del Governo.
Da anni non si assisteva a un simile fermento. I precari degli enti di ricerca si ribellano contro chi vorrebbe togliere loro il diritto acquisito alla stabilizzazione. In molte università italiane i ricercatori paralizzano l’avvio dell’anno accademico rinunciando ai propri insegnamenti o trasformando le lezioni istituzionali in dibattiti in aula o nelle piazze sulle conseguenze della “riforma” Gelmini sull’assetto dell’Università italiana.

In nome di una finta efficienza e di una ideologia meritocratica che si traduce in selezione di classe il Governo ci propone l’immagine di una società della conoscenza ridotta ad aggregato culturale di merce scadente. E lo fa nel modo peggiore, cioè affossando le prospettive di sviluppo di un paese atterrato dalle deficienze di un capitalismo in crisi che oggi chiede allo Stato di intervenire a risolvere le sue contraddizioni.
Tagli ai finanziamenti sul fondo di finanziamento ordinario, riduzione a un quinto del rapporto già basso tra pensionamenti e nuove assunzioni, abolizione del valore legale del titolo di studio, aumento dei corsi di laurea a numero chiuso, costruzione di Università di élite, magari come quei centri di “eccellenza”, tanto cari al Ministro Tremonti, che di eccellente hanno solo il fiume di quattrini che rubano allo Stato, mentre le Università pubbliche rischiano la bancarotta.
E poi l’obbrobrio che rischia di essere esteso al mondo della scuola della possibilità di trasformarsi in fondazioni private che rappresenterebbe l’ultima frontiera di un’autonomia finanziaria ridotta a privatizzazione delle prassi gestionali degli Atenei attraverso la totale alienazione di strutture e risorse pubbliche. Uno scempio legislativo applaudito dalla finta opposizione del Partito Democratico che già in passato aveva dimostrato sintonia con questa inedita cultura di statalismo neoliberista che nulla ha a che vedere con quel modello anglosassone tanto acclamato ma evidentemente poco conosciuto dai legislatori nostrani.

A tutto questo ci opponiamo
partecipando alle mobilitazioni spontanee degli studenti e dei lavoratori della conoscenza importando nei conflitti il nostro punto di vista di comuniste e comunisti e la nostra piattaforma politica di classe che persegue una Università pubblica e un sistema della ricerca di massa e di qualità. Esigiamo la stabilizzazione immediata dei precari di lungo corso e un finanziamento straordinario per l’assunzione a breve di nuovi ricercatori.
Chiediamo una riforma dello statuto giuridico dei docenti con separazione netta tra assunzione e avanzamento di carriera e un adeguamento stipendiale quanto meno per la terza fascia (gli attuali ricercatori). Chiediamo un innalzamento delle borse di dottorato. Vogliamo la completa abolizione delle selezioni in ingresso ai corsi di laurea e l’azzeramento delle tasse di iscrizione all’Università per studenti e studentesse provenienti da famiglie con basso reddito.
Vogliamo una riforma del sistema di governo degli Atenei in senso democratico e partecipativo. Vogliamo che venga istituito il diritto di assemblea d’Ateneo e di Facoltà con conseguente sospensione della didattica. Vogliamo una Università che selezioni in base al merito e non alla classe sociale. Per far questo servono risorse.
Chiediamo quindi un taglio radicale della spesa (sempre crescente) destinata ai nuovi armamenti e magari il recupero dei milioni di euro che ogni anno sono regalati alla chiesa cattolica attraverso il trucco dell’8 per mille destinando il ricavato alla ricerca pubblica.
Chiediamo forse la luna? Bene. Se un sistema della ricerca e della formazione di massa e di qualità dentro una società compiutamente democratica si chiama luna, allora sì. Chiediamo la luna.

Roma, 14 Ottobre 2008
da Rifondazione.it

RIFONDAZIONE ADERISCE ALLO SCIOPERO GENERALE DEL 17 OTTOBRE


IL GOVERNO ATTACCA ANCHE IL PROCESSO DEL LAVORO

di Paola Esposito e Giovanni Russo Spena



E' opportuno lanciare l'allarme, perché siamo di fronte ad una controriforma grave che rischia di essere clandestina, di sfuggire ad una conoscenza di massa. Il governo delle destre sta abbattendo quel che resta del processo del lavoro con un provvedimento collegato alla Finanziaria che, in quanto tale, è stato sottratto alla commissione Giustizia che sarebbe stata competente in Parlamento. Vengono sottratte le garanzie giurisdizionali alle lavoratrici ed ai lavoratori. Ci mobiliteremo sia sul piano democratico che sindacale. Il governo nega alla magistratura ogni controllo di legalità; torna all'attacco dello Statuto dei lavoratori. Nega l'articolo 4 della Costituzione perché la reintegrazione del posto di lavoro è sostituita da un risarcimento.

Il Governo Berlusconi ha presentato un disegno di legge che, tra le altre norme antipopolari, contiene una riforma del processo del lavoro che, se dovesse essere approvata, eliminerebbe gran parte delle garanzie dei lavoratori di poter ricorrere al giudice competente per ottenere un provvedimento di giustizia. A parte la limitazione del ruolo del giudice a mera verifica di legittimità dell'aspetto formale del rapporto di lavoro o della sua risoluzione; a parte la dilatazione dell'utilizzo della certificazione come strumento di interdizione di qualsivoglia possibile azione da parte del lavoratore con la quale chieda di riconoscere quanto negatogli, vi è un punto decisivo, disastroso. La controriforma prevede, infatti, che in casi di licenziamento in aziende con meno di 15 dipendenti, nella valutazione delle motivazioni poste alla base del recesso, il giudice dovrà tener conto, innanzitutto, di non meglio precisate regole del vivere civile e dell'oggettivo interesse della organizzazione del sistema produttivo; temiamo che questo significhi che i diritti di lavoratrici e di lavoratori siano subordinati alle priorità del paradigma del profitto dell'impresa anche quando vi è una controversia sulla legittimità del comportamento padronale.

Soprattutto, la controriforma prevede che il giudice, per valutare la "giusta causa" ed il giustificato motivo del licenziamento, debba tener conto oltre che dei contratti collettivi, anche dei contenuti dei contratti di lavoro individuali; vale a dire che, di fronte ad una norma attualmente vincolante per tutti i datori di lavoro, potremmo da domani trovarci con licenziamenti giustificati nei termini più diversificati e, comunque, iniqui per i lavoratori perché stipulati con l'assistenza delle commissioni di certificazione.

E qui si nasconde l'ulteriore incredibile iniquità. La certificazione del contratto da parte di una commissione può consentire l'introduzione nel contratto individuale di lavoro anche di clausole compromissorie; di quelle clausole cioè che spostano la competenza dal giudice del lavoro ad un collegio arbitrale che non è garante di imparzialità, potrà decidere secondo equità e non secondo l'applicazione delle leggi ed inoltre avrà un costo considerevole per il lavoratore che dovrà pagare il proprio arbitro più la metà del compenso del presidente. Per un complesso meccanismo poi una certificazione può rendere retroattivamente efficace una clausola compromissoria.
In ultimo appare opportuno evidenziare che il disegno di legge in discussione introduce decadenze che sono una vera e propria mutilazione dei diritti dei lavoratori. Ed infatti la proposizione di un ricorso di impugnativa di licenziamento (qualunque sia la tipologia di recesso) di nullità del termine per i contratti a tempo determinato, di impugnativa di trasferimento deve essere depositato entro 120 giorni nella cancelleria del tribunale. Decorso detto termine il diritto non è più giustiziabile. E' evidente che il governo nel silenzio generale tenta di erodere garanzie ai danni di lavoratrici e lavoratori. Questo intervento del governo, grave anche perché clandestino, accompagna l'attacco alla contrattazione e tende a rendere sempre più solo, disperatamente solo e ricattato, il lavoratore nei confronti del padrone.

La centralità del lavoro è la chiave di interpretazione della grammatica sociale e dell'intervento politico sul terreno comune della lotta democratica e dei proletariati. Sempre più, perché l'attacco quotidiano del governo, sia sul piano sociale che su quello ordinamentale, reclama con forza una mobilitazione.


Roma, 16 Ottobre 2008
da Rifondazione.it