lunedì 30 giugno 2008

La sassata n° 4 di Ramon Mantovani


Oggi la lettura dei giornali provoca stati di agitazione.

Ho letto (fonte Liberazione) che si sono riuniti, chiamati dal crs, un folto numero di esponenti della sinistra. Ecco un elenco parziale: Alfonso Gianni, Roberto Musacchio, Patrizia Sentinelli, Elettra Deiana, Maria Luisa Boccia, Ida Dominijanni, Goffredo Bettini, Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Gianni Cuperlo, Fabio Mussi, Pietro Folena, Famiano Crucianelli, Carla Ravaioli, Sandro Curzi, Miriam Mafai, Beppe Vacca, Alfredo Reichlin, Aldo Bonomi, Mauro Calise.

Insomma il nuovo che avanza!

Il relatore Mario Tronti ha detto: “la sinistra deve tornare ad essere una forza che conti” (questo il titolo dell’articolo di Anubi D’Avossa Lussurgiu). E dopo aver sostenuto che bisogna “chiudere il dopo 89, superare la diaspora che ha diviso la sinistra a partire da quella data e ricomporla unitariamente, in grande, in avanti” ha concluso che il dubbio è se “fare un grande partito della sinistra o un partito della grande sinistra”.

C’è bisogno di commentare?

Claudio Fava (nuovo LEADER di Sinistra Democratica secondo la didascalia della foto pubblicata da Liberazione) lancia la Costituente della Sinistra e critica il PD per l’idea di autosufficienza.

Che vorrà dire?

Veltroni ascoltava in prima fila, seduto fra Vendola e Occhetto.

L’articolo non specificava chi era seduto alla sinistra di chi.

Ma Veltroni era al centro.

Sul Corriere della Sera ed altri quotidiani pagine e pagine sulla svolta (?) a destra di Barack Obama.

Dopo aver minacciato la guerra contro l’Iran ed aver proposto Gerusalemme capitale d’Israele adesso insiste per la pena di morte.

Su Liberazione neanche una riga.

Siamo ancora fermi al tifo che faceva Sansonetti per Obama?

Ramon Mantovani

3 commenti:

Rifondazione Libera ha detto...

Rifondazione Comunista fra vita morte e miracoli.

Pubblicato sul blog
di ramon mantovani

So bene che le dispute sui voti congressuali non possono appassionare nessuno. I militanti meno ancora dei giornalisti pettegoli che hanno come funzione quella di ridurre tutto a scontro personale fra leader. Gli iscritti (quelli veri) meno ancora della cosiddetta sinistra diffusa, perché hanno sempre pensato di iscriversi a un partito diverso dagli altri.

Ma la realtà, la dura realtà, è che oggi, per la prima volta nella storia di Rifondazione Comunista, bisogna discutere anche di questa miseria.

Oramai c’è purtroppo un’ampia letteratura su congressi dove al momento del voto compaiono decine e a volte centinaia di persone sconosciute, in gran parte nuovi iscritti, dove il voto non avviene sulla base dell’appello, dove persone evidentemente inconsapevoli vengono accompagnate da qualcuno che suggerisce loro come votare, dove nonostante centinaia di iscritti non c’è alcun dibattito, e così via. Basta leggere quanto è stato pubblicato nei vari blog e su Liberazione.

Come siamo arrivati a questo punto?

Io voglio cercare di ragionare. Le denunce di irregolarità e i conti dei voti non sono competenza di questo blog. Sarà la commissione congressuale competente a stabilire cosa è dentro e cose è fuori dalle regole. E io accetterò in silenzio ogni decisione.

Eppure bisogna, secondo me, ragionare su quella che a me sembra una degenerazione del partito.

Io penso vi siano due diverse cause che oggi, sommandosi, rischiano di uccidere definitivamente il partito, o più semplicemente di trasformarlo in un partito come gli altri, che per me è la stessa cosa.

La prima: Rifondazione è dalla nascita un partito molto democratico, con uno statuto ultragarantista, e con una piena sovranità delle sue organizzazioni locali su tutte le scelte elettorali e politiche. Per intenderci, e lo dico per le tante e i tanti che non lo sanno, la decisione di fare alleanze e di entrare in giunte comunali provinciali o regionali, è di esclusiva pertinenza rispettivamente dei circoli, dei comitati federali e dei comitati regionali. Fin qui tutto normale. Ma da tempo si è visto in alcune realtà che il potere di prendere decisioni circa le elezioni può essere “scalato”. Come? E da chi? Facciamo un esempio di scuola. In un comune di 20000 abitanti c’è un circolo di 50 iscritti. Normalmente partecipano alla vita attiva del circolo una quindicina di compagne/i. Capita che al momento di prendere decisioni importanti, come le elezioni, l’assemblea del circolo veda una partecipazione di 30 o 40 persone. A un certo punto una persona del circolo, l’anno prima delle elezioni, comincia a tesserare parenti ed amici, magari un’intera cooperativa o un intero circolo arci, o una parte di tesserati dello spi cgil. In un anno miracolosamente il circolo diventa di 150 iscritti, anche se quelli che tirano la carretta restano sempre gli stessi quindici. Anzi, capita che una parte dei 15 smetta l’attività per protesta o delusione. I cento nuovi iscritti compariranno all’assemblea e decideranno loro, votando come un sol uomo, chi farà il segretario del circolo, chi condurrà le trattative per gli assessorati e così via. Tutto nel pieno rispetto dello statuto del partito. Tutto per una piccola questione di potere locale. Ma in quel circolo il partito non è più lo stesso. Non sarà il consigliere o l’assessore lo strumento del partito nelle istituzioni bensì il contrario. Alla fine è il circolo ad essere lo strumento di una persona.

Analogamente a livello provinciale un assessore può costituire circoli in paesi dove non c’è rifondazione e scalare circoli esistenti di pochi iscritti e conquistare così il potere nel comitato federale. Oltre a decidere assessorati provinciali il comitato federale elegge i membri del comitato regionale. Basta che, in una regione, due o tre personaggi che controllano le organizzazioni di partito si mettano d’accordo fra loro ed ecco che avremo assessorati e consiglieri regionali. Se invece capita che non si mettano d’accordo allora capita che si assista ad una guerra delle tessere per preparare lo scontro decisivo. Ovviamente se una federazione di quella regione è esente dallo scontro di potere risulterà ininfluente perché dotata di pochi iscritti e di poco peso negli organismi decisionali. Quando viene il congresso nazionale i vari personaggi si schierano indipendentemente dal contenuto delle mozioni e scelgono la mozione che a livello locale loro possono controllare per perpetuare il loro potere. Capita così che da un congresso all’altro si passi da una mozione all’altra con la massima disinvoltura.

Dopo qualche anno di questa cura il partito in quella regione non c’entra nulla con l’originale.

E’ solo un caso di scuola? No, perchè è il caso della Calabria, dove il partito è ridotto esattamente così da parecchio tempo. Sono state commissariate federazioni ed anche il regionale. C’è un numero esorbitante di iscritti e di circoli che fanno una scarsissima attività politica se togliamo le campagne elettorali per le preferenze, le guerre fra diversi personaggi hanno avuto gli onori della cronaca sui quotidiani locali, e ci sono stati perfino casi di inquisiti e condannati per gravi reati seguiti dall’autosospensione dal partito delle persone interessate, vi sono state denunce, all’autorità giudiziaria, per minacce di vario tipo e perfino l’intervento delle forze dell’ordine per sedare risse durante riunioni del partito.

Oggi, e lo dico senza tema di smentita, in Calabria i vari personaggi di cui sopra hanno scelto la mozione vendola. Per convinzione? Direi di no visto che allo scorso congresso hanno scelto la mozione dell’allora Ernesto che non per caso vinse il congresso calabrese. E come mai? Presto detto: dopo essere usciti dalla maggioranza tre mesi fa visto che in regione ci sono decine di inquisiti la settimana scorsa il comitato regionale ha deliberato che in consiglio si votasse il bilancio ed è alle porte la trattativa per rientrare in giunta. Ed importanti esponenti nazionali della mozione vendola hanno benedetto l’operazione. A me è capitato di presentare la mozione 1 in un circolo dove l’importante esponente nazionale della 2 rispondendo alle mie critiche sul ritorno in giunta ha bollato come verticistica la mia posizione dicendo: “sono i compagni calabresi che devono decidere democraticamente sulla questione ed è sbagliato che dall’alto gli si dica cosa devono fare”.

Appunto.

Ora ai congressi in calabria avremo una grande partecipazione democratica di centinaia di nuovi iscritti che si aggiungono agli oltre novemila del 2007. Vincerà la mozione vendola, senza dubbio. Ovviamente per la bontà della proposta politica e in coerenza con l’assunto che il fine non giustifica i mezzi.

Per quanto riguarda noi della mozione 1 sono ben lieto di poter dire che già all’indomani del famoso CPN abbiamo fatto sapere che non eravamo in cerca di certi voti dicendolo esplicitamente anche nelle assemblee di presentazione della mozione a Reggio Calabria e a Cosenza, quando ancora certi personaggi erano ufficialmente astensionisti sulle mozioni, per il semplice motivo che erano alla ricerca del miglior offerente.

Per fortuna, però, il caso della calabria è isolato. Non c’è nulla di paragonabile in nessuna altra regione. E sono all’esame della commissione congressuale ricorsi sulla regolarità di congressi dove ne sono successe di tutti i colori.

Ma veniamo al resto.

La seconda: Il nostro partito, con tutti i difetti e limiti, è però sempre stato un partito di militanti ed iscritti. E’ normale, come era nel PCI, che in un circolo un gruppo di pochi attivisti gestisca l’attività e che la gran parte degli iscritti partecipi alla festa, anche lavorando duramente, ma che non partecipi, invece, assiduamente a tutte le iniziative e discussioni. Quando c’è il congresso il direttivo manda a casa la lettera e magari gli esponenti delle mozioni del circolo telefonano e parlano con gli iscritti per convincerli della loro posizione. Normalmente vanno a votare tra il 30 e il 60 % degli iscritti. Normalmente l’anno che precede il congresso c’è un piccolo incremento delle tessere, in gran parte dovuto al numero di delegati che spetteranno al circolo per il congresso di federazione. Ma si tratta, normalmente, di un semplice maggiore impegno a fare il tesseramento con più cura. Normalmente un congresso e il suo dibattito convince alcuni compagne o compagni a rifare la tessera o a iscriversi al partito per partecipare.

Normalmente.

E’ normale che un circolo con 100 tesserati nel 2007 ne abbia altrettanti di nuovi nel 2008?

E’ normale che la percentuale dei votanti in gran parte dei circoli sia quella tradizionale e che in altri sia dell’80, del 90 e anche del 100%?

Il nostro regolamento congressuale prevede che ci si possa iscrivere per la prima volta, ottenendo il diritto di voto, dieci giorni prima del congresso di circolo, pagando una quota minima (minima e non fissa) di 10 euro.

Cosa sta succedendo se ci sono circoli che raddoppiano o addirittura triplicano gli iscritti? Se tutti i nuovi iscritti, a volte decine e centinaia, pagano tutti 10 euro e non un centesimo di più? Se ci sono perfino dirigenti di Sinistra Democratica eletti in cariche in quel partito nel loro congresso che una settimana dopo vanno a votare nel congresso del circolo di Rifondazione? Se una parte del paese, nella quale la maggioranza dei gruppi dirigenti ha scelto la mozione 2, celebra i congressi nelle ultime due settimane utili, ottenendo così più tempo di tutti gli altri per fare nuovi tesserati?

Secondo me sta succedendo una cosa chiara. Si sta trasformando il congresso del partito in una spuria elezione primaria.

Capisco l’ansia di vittoria della mozione 2 e capisco che si sia candidato Vendola per sfruttare la sua popolarità ed ottenere voti che sulla proposta della costituente non si sarebbero ottenuti. Ma sono sinceramente sorpreso dalla disinvoltura con la quale si portano al voto centinaia di persone che sono state iscritte solo per il voto. Questo fenomeno non ha nulla a che vedere con la partecipazione. O meglio, ha a che vedere con una idea di partecipazione molto, troppo, simile a quella del partito democratico.

I compagni della mozione 5 oggi hanno pubblicato su Liberazione una lettera aperta nella quale propongono di cambiare il regolamento per fermare uno stravolgimento della dialettica democratica nel nostro partito. Sostanzialmente ammettendo al conteggio dei voti solo i nuovi iscritti prima di una data precisa e certa, sia eliminando la disparità di possibilità dei circoli di reclutare nuovi iscritti a seconda della data del congresso, sia soprattutto eliminando l’applicazione distorta del regolamento. Io credo che abbiano ragione. Che di fronte ad un tesseramento palesemente gonfiato la loro proposta sia giusta e saggia. Ma credo che l’ultima parola circa questa proposta spetti alla mozione 2, visto che, pur potendola imporre con un voto di maggioranza, non credo si possa procedere nel cambiamento del regolamento se non all’unanimità. E temo che la mozione 2 non accetterà mai di ricondurre il congresso nella normalità. Tutto il loro comportamento è ispirato dalla precisa volontà di usare qualsiasi mezzo, per quanto nocivo per il partito, per vincere il congresso.

Nonostante questi due fattori che per me sono assolutamente inquinanti io non credo affatto che la mozione 2 possa vincere il congresso.

Certo per chi propone un processo costituente alla fine del quale, come sostiene esplicitamente Sinistra Democratica che non ha imbarazzo a dirlo, ci sarà un nuovo partito di sinistra affiliato alla famiglia socialista europea, lo stato reale del PRC non ha molta importanza.

Ci sono, però, tutte le condizioni per sanare le situazioni degenerate del partito in alcune circoscritte realtà. Come esiste la possibilità di rimettere al centro dell’attività politica la società invece che le istituzioni.

E per questo mi batterò fino all’ultimo congresso di circolo per impedire la morte di Rifondazione Comunista.

ramon mantovani

Rifondazione Libera ha detto...

Ricostruire,
per non sbagliare di nuovo

da "Il Manifesto"

Paolo ferrero
Giugno 28, 2008

Rossana Rossanda ha posto, a proposito del congresso di Rifondazione, delle questioni di fondo su cui vorrei qui ragionare. Mi pare evidente che la sconfitta sia stata determinata in larga parte dal fatto che la sinistra non è riuscita a condizionare il governo Prodi e la maggioranza dell’Unione. Non avendo portato a casa i risultati posti alla base del programma dell’Unione e della campagna elettorale del 2006, abbiamo perso due terzi degli elettori che evidentemente ci hanno ritenuti inutili. La scelta della maggioranza dell’Unione di mediare su tutti i punti di fondo con i poteri forti e di riprodurre politiche di liberismo temperato, senza tener fede al programma, ha determinato la base materiale della vittoria delle destre e ha distrutto la sinistra.
L’errore lo abbiamo fatto lì - e me ne assumo completamente al responsabilità - perché a me pare che la nostra sconfitta nasce da un grave errore di valutazione dei rapporti di forza che ci ha posto in una condizione in cui una mediazione vera non c’è mai stata. Abbiamo pensato fosse possibile intervenire positivamente dal livello politico, del governo, per ottenere risultati che non eravamo in grado di perseguire nella società. Abbiamo sbagliato. Mi è chiaro che mille altri fattori hanno concorso all’esito ma questo è il punto determinante.

Da questa considerazione ne traggo una prima conclusione politica: la sinistra, prima di porsi il tema del governo del paese deve operare per modificare seriamente i complessivi rapporti di forza, sul piano sociale, culturale, politico, pena il ripercorrere esattamente il disastro appena consumato.
La seconda riguarda i rapporti con il Pd. Ritengo positiva l’iniziativa politica di D’Alema, che contrasta il bipartitismo veltroniano in nome di una visione più articolata del centrosinistra.

Questa articolazione non va però confusa con una modifica dei contenuti programmatici del Pd medesimo. La prospettiva di D’Alema è quella di allearsi con una «sinistra di governo», cioè con una sinistra che moderi pesantemente la propria linea politica, mentre all’origine della sconfitta vi è proprio quel neoliberismo temperato, che ha deluso il popolo di sinistra e che D’Alema intende confermare integralmente.

Ma la sconfitta sociale, culturale e politica è nata ben prima della sconfitta elettorale e chiede una partenza su basi nuove. In un contesto dove pare spezzato ogni legame tra difesa degli interessi delle classi subalterne, democrazia e trasformazione sociale, occorre ridefinire non solo la linea politica ma ripensare il concetto stesso di politica, che non può continuare ad essere identificata con la rappresentanza. La crisi della politica rende infatti i percorsi conosciuti inefficaci al fine di ricostruire un’alternativa all’attuale barbarie capitalistica. In questo contesto tre mi paiono le emergenze.

In primo luogo, occorre costruire un’efficace opposizione al governo Berlusconi, sia sul piano delle questioni sociali che democratiche. Si tratta di un lavoro indispensabile, su cui siamo già in ritardo, e che non viene svolto dall’opposizione parlamentare che non fa semplicemente nulla.

Tragicamente l’assenza di opposizione su questioni decisive come quella del contratto nazionale di lavoro si accompagna ad un minimalismo della Cgil che ci fa rimpiangere ogni giorno quella di cinque anni fa. La sinistra, a partire da chi ha organizzato la manifestazione del 20 ottobre scorso, non deve dividersi tra costituenti di sinistra e comuniste ma unirsi sul costruire l’opposizione, come dopo Genova, anche per evitare che l’intera dialettica del sistema politico sia giocata tra una destra populista che governa e il centro giustizialista di Di Pietro.

In secondo luogo, la pesantezza della sconfitta ci obbliga a ricostruire sui territori un intervento della sinistra che ne riqualifichi l’utilità sociale a livello di massa. In una società che si sente in pericolo, che guarda al futuro con crescente incertezza, che tende a difendersi attraverso la guerra tra poveri, occorre ricostruire un lavoro capillare di vertenzialità diffusa affiancata alla ricostruzione di legami sociali. Occorre ricostruire le basi materiali della sinistra perché o l’insicurezza sociale trova i percorsi per esprimersi in un conflitto del basso verso l’alto, contro lo sfruttamento e le disuguaglianze, oppure l’ideologia di destra della guerra tra i poveri diventa la forma stessa delle relazioni sociali.

Occorre ricostruire una connessione sentimentale con la nostra gente; recuperare il senso profondo di una politica di sinistra costruendo vertenzialità, mutualismo, legami comunitari democratici e solidali; per questo occorre costruire in tutti i territori case della sinistra che mettano in relazioni tutti coloro che si collocano nella variegata galassia della sinistra, a prescindere che si definiscano comunisti, socialisti, ambientalisti o come gli pare. Se non riparte dal basso la sinistra, dopo essere stata espulsa dal parlamento, lo sarà dalla società.

Questo percorso è possibile solo in un quadro di progetto politico generale e nazionale, come dice Tronti, evitando però ogni fuga nell’autonomia del politico che è all’origine della sconfitta e che mi pare venga da Tronti - e da una parte di Rifondazione - riproposta.
E’ un lavoro che richiede una grande autonomia politica, culturale e simbolica dal Pd. E’ infatti evidente che il problema non si risolve nell’incalzare da sinistra il Pd ma nel costruire nella società le ragioni e i percorsi di un’alternativa. A tal fine, a me pare che Rifondazione comunista sia utile sia come soggetto politico organizzato che come progetto politico. Rc è il principale soggetto organizzato della sinistra e prima di tutto deve essere riorganizzato, non terremotato.

E’ già stata in grado, negli scorsi anni, di costruire uno spazio politico di autonomia dalla sinistra moderata; questo deve essere ricostruito con tenacia, pena la condanna della sinistra ad essere una corrente esterna del Pd. Per tale motivo considero sbagliata la proposta di una costituente di cui è totalmente indeterminato il grado di autonomia reale dal Pd e che Fava propone esplicitamente come funzionale a ricostruire il centrosinsitra.

In terzo luogo, senza la definizione di un universo simbolico forte, che evidenzi anche a quel livello la propria autonomia strategica, non vi è alcuna possibilità di ricostruire una sinistra anticapitalista.

Il nodo del comunismo non può quindi essere derubricato a propensione culturale perché nella concreta realtà italiana è fattore necessario, anche se non sufficiente, nella costituzione dell’autonomia del progetto politico.

Visto che la prospettiva della Costituente di sinistra porterebbe inevitabilmente tra sei mesi a discutere delle liste alle europee, riproducendo il percorso fallimentare e politicista della Sinistra arcobaleno, mi pare più utile il percorso sopra descritto, che veda da subito il massimo di unità della sinistra impegnata nella costruzione dell’opposizione alle politiche del governo Berlusconi e nella ricostruzione delle ragioni sociali della sinistra

Unknown ha detto...

http://rassegna.comune.reggio-calabria.it:8080/T-web/news/300608/0630I0076.PDF