mercoledì 2 luglio 2008


Sul congresso del PRC: modeste proposte tra alterità politica e utilità

Andrea Alzetta
Mario Alcaro

Francesco Caruso
Nunzio D'Erme

Elisabetta Della Corte
Fabrizio Nizi
Franco Piperno

Pietro Sebastianelli


Care compagne e cari compagni, scriviamo questa lettera per una condivisione sentimentale che ci lega a voi ed in spirito d'amicizia. Veniamo da vite vissute differentemente ma convergiamo oggi nell'azione dentro e verso gli istituti della democrazia diretta che operano nella prassi sociale. Guardiamo ai conflitti sociali cioè con l'occhio all'emergere di proprietà comuni che, nella misura in cui vengono interiorizzate, portano alla formazione dell'individuo dotato di una coscienza sociale. Così, ad esempio, i centri sociali non sono che una delle manifestazioni della potenza collettiva trasformatrice che vive ed agisce da tempo nel nostro paese. Essi, infatti, sono esempi di "comunità elettive", la forma finalmente scoperta nella quale ha luogo l'esodo, questo processo di sottrazione al mercato mondiale e al dominio ideologico del calcolo economico.

Del resto, questo rattrappimento della discussione attorno alla sconfitta elettorale è in continuità con un processo di degenerazione che, da Genova in poi, ha segnato Rifondazione: quel privilegiare l'attività di rappresentanza ha finito col conferire al partito una fragile natura istituzionale, impotente e rituale, con qualche caduta nell'antico trasformismo, inseguendo quel parlamentarismo filo-governativo che perseguita la vita morale e civile fin dal nascere della nazione. Mentre l'attuale carattere extraparlamentare, per quanto sia un limite, può invece essere un'opportunità di rivitalizzazione sociale e di alleggerimento dalle scorie insite nella partecipazione alle forme incancrenite della rappresentanza politica, partecipazione che se non va demonizzata neanche va assolutizzata e mitizzata.
In breve, siamo preoccupati di ciò che le mozioni esprimono ma ancor più di quello che neppure nominano.

Per esempio:
1 Le tesi congressuali appaiono ad una prima lettura - ma, per verità, perfino ad una terza - vertere sulla crisi nella sinistra piuttosto che su quella della sinistra. L'antefatto che fonda la discussione è chiaramente la disfatta elettorale o meglio la rottura tra le due anime sinistre: la moderata blairiana raccolta nel Pd e la radicale costretta nell'illusione dell'Arcobaleno.

Il dibattito risulta così attraversato dalla prospettiva di una rivalsa elettorale che consenta di rientrare nei luoghi perduti della rappresentanza. L'impressione che se ne ricava è di un affare tutto interno al ceto politico, la rivendicazione di un posto nel mercato della rappresentanza offrendosi come estrema sinistra, prolungamento della legalità istituzionale nel mondo dei conflitti e della sovversione sociale. Le differenze vertono sul come conseguire l'obiettivo, cioè sui tempi ed i modi di una nuova alleanza con il Pd e il sindacato.

Anche a ricercarlo con pazienza, non si trova un solo cenno a quell'andare tra la gente, al processo di radicamento nell'autonomia delle soggettività collettive che è, oggi come ieri, la strada maestra per chi pretenda d'ereditare la tradizione rivoluzionaria del movimento operaio. Si intravede, invece, un dibattito incastonato più sullo scontro di potere che sulla linea politica, segnato da pratiche della peggiore tradizione democristiana, con i tesseramenti gonfiati e le accuse velenose.

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